Gertrude Emerson, giornalista, scrittrice, storica ed esploratrice statunitense, si è distinta per la capacità di interpretare l’Oriente scevra da pregiudizi in un’epoca di potente xenofobia nei confronti dell’immigrazione asiatica.
Ha girato il mondo ma l’India è stata la sua seconda casa, vi ha vissuto fino alla fine dei suoi giorni.
Ha contribuito a fondare la Society of Woman Geographer e fatto parte della Royal Geographic Society.
I suoi libri più importanti sono stati Voiceless India e Pageant of India’s History.
Nata il 6 maggio 1890 a Lake Forest, nell’Illinois, sua madre, Alice Edwards, era una pianista e concertista e il padre Alfred, archeologo e accademico che ha insegnato in diverse università americane.
Dopo la laurea in storia e letteratura all’Università di Chicago, nel 1914 si era recata in Giappone dove, immersa totalmente nella vita e nella cultura del paese, aveva scritto dello stato dell’istruzione e del ruolo della storia nella costruzione dell’orgoglio nazionale.
Dopo aver contribuito a fondare la rivista Asia, insieme alla collega Elsie Weil, è stata la prima giornalista americana a intervistare figure di spicco dell’amministrazione cinese e giapponese.
Nel 1919, insieme a suo fratello Alfred, entomologo, si era unita a una spedizione in Guyana dove ebbe modo di esplorare la vita dei braccianti provenienti dall’India che lavoravano nelle piantagioni di zucchero.
L’anno seguente, un viaggio intorno al mondo con il fotografo e giornalista Donald Thompson e sua moglie Dorothy Marshall, le portò un’incredibile fama.
La stampa elogiava l’insaziabile sete di avventura di questa donna minuta, che scriveva articoli sul volo acrobatico, sull’esplorazione di grotte sotterranee nelle Filippine, sulla caccia alla tigre in Vietnam e sul viaggio ad Angkor Wat in un sampan attraverso fitte foreste.
Nel 1922 si è recata per la prima volta in India, era un’epoca di grande fermento sociale, nel pieno del Movimento di Non Cooperazione lanciato dal Mahatma Gandhi che aveva visto parlare alla folla a Lahore e di cui aveva scritto per il New York Times.
Ha viaggiato da nord a sud del paese mentre infuriavano le rivolte, ha visitato villaggi colpiti dalla malaria, documentando la fatica quotidiana delle donne e l’oppressione inflitta ai mezzadri da zamindar e usurai.
Rientrata negli Stati Uniti, nel 1925, insieme alle esploratrici Blair Niles, Marguerite Harrison e Gertrude Shelby, ha fondato la Society of Women Geographers.
Nel 1926 è tornata in India, passando per l’Europa e l’Asia occidentale. In groppa a un elefante si era spinta fino a Pachperwa, villaggio al confine tra Nepal e Uttar Pradesh dove ha vissuto per un intero anno contribuendo allo sviluppo comunitario.
Da quell’esperienza è nato Voiceless India, pubblicato nel 1930. Nel libro, in cui emergeva la consapevolezza del suo privilegio, parlava delle condizioni di vita e della scarsa istruzione delle donne indiane, rispettando il contesto in cui vivevano senza fare paralleli con le donne occidentali.
La prefazione entusiasta di Rabindranath Tagore diceva:
“L’autrice non ha scelto il comodo metodo di raccogliere informazioni dietro una sfarzosa ospitalità burocratica, sotto un ventilatore elettrico rotante e in un’atmosfera di opinioni ufficiali precostituite… Ha coraggiosamente accettato, senza alcun aiuto, di entrare in una regione della nostra vita, quasi inesplorata dai turisti occidentali, che aveva un grande vantaggio, nonostante le sue difficoltà, che non le offriva altra strada se non quella di condividere la vita della gente.”
Nel novembre del 1932 a Calcutta ha sposato Basishwar Boshi Sen, ricercatore e agronomo con cui si era trasferita ad Almora, nell’India settentrionale, dove avevano installato il laboratorio Vivekananda, che sperimentava prodotti agricoli su cellule vegetali, creando, ad esempio, varietà ibride di mais e cipolla.
Figura pionieristica della Rivoluzione Verde indiana, il marito, venne insignito di importanti premi nazionali per il suo contributo all’agricoltura.
La loro casa, che si affacciava sull’Himalaya orientale, ha accolto importanti personalità politiche della famiglia Nehru, esponenti della cultura come il pittore Earl Brewster e Lama Anagarika Govinda, filosofo tra i massimi interpreti del buddhismo in Occidente.
Nel 1936, il giornalista Lowell Thomas scrisse l’articolo 40 chili di coraggio che descriveva nel dettaglio la sua vita e i suoi viaggi, concludendo che si distingueva per una combinazione di insolite qualità: “Un’abile dirigente, una scrittrice di talento, un’oratrice magnetica, una studiosa, una viaggiatrice ed esploratrice intrepida, un’intelligenza penetrante che intercetta i problemi futuri, un’interprete dell’Oriente per noi che ne abbiamo un disperato bisogno: è una donna di cui non dovremmo aspettare che i nostri figli siano orgogliosi“.
Il suo secondo libro, A Pageant of Indian Civilization, pubblicato nel 1948 e illustrato dalla sorella Edith, le è valso il Watumull Prize.
Ha passato il resto della sua vita ad Almora, sopravvissuta per undici anni alla morte dell’amato compagno, si è spenta nel 1982, all’età di 92 anni.
Le sue carte, che includono corrispondenza, articoli e appunti vari, sono state donate alla Biblioteca Pubblica di New York.
La Society of Woman Geographers è ancora attiva per diffondere e incoraggiare la conoscenza e la ricerca geografica.
Il laboratorio Vivekananda che oggi si chiama Vivekananda Parvatiya Krishi Anusandhan, fa parte dell’Indian Council of Agricultural Research.