La fotografia mi ha in qualche modo permesso di non sprofondare nella tristezza, perché ho recuperato la mia storia, la mia identità, attraverso quello che vedo.
La fotografia è stata la forma di espressione politica e artistica di Kati Horna, attivista anarchica e femminista dalla peculiare maniera di captare la realtà.
La sua vita è stata militanza, contro il regime nazista, quello franchista, ha ridicolizzato Hitler disegnandolo come un uovo alla coque, ha manifestato nelle piazze e utilizzato l’obiettivo come strumento per cambiare la prospettiva dalla quale osservare il mondo.
Definendosi un’operaia dell’arte, non ha mai rincorso la fama.
Sebbene sia principalmente nota per essere stata reporter durante la guerra civile spagnola tra il 1937 e il 1939, il suo lavoro è stato profondamente influenzato da surrealismo, rituali antichi e macabro.
Ha privilegiato il racconto invece che la notizia, con un modo completamente diverso di mostrare la violenza. Anche quando fotografava i soldati lo faceva lontano dal combattimento, amava concentrarsi sulla gente comune, soprattutto le donne, e sul loro quotidiano contatto col conflitto, ma anche sugli ambienti devastati, gli oggetti, i simulacri del corpo umano.
Nata col nome di Katalin Deutsch il 19 maggio 1912 a Szilasbalhás, in Ungheria, in un’agiata e colta famiglia ebrea. Sin da adolescente si era interessata alla politica, affascinata dalle idee di Lajos Kassák, intellettuale convinto che l’arte fosse uno strumento fondamentale per cambiare la società.
Trasferitasi a Berlino per studiare politica, l’ascesa al potere di Hitler l’aveva costretta a tornare in patria.
Aveva partecipato a diverse proteste popolari contro la dittatura e, in contemporanea, consolidato la sua formazione intellettuale e artistica insieme a pionieri della fotografia moderna come Làszlo Moholi-Nagy (membro e professore della Bauhaus) e Jòzsef Pécsi da cui ha imparato la tecnica fotografica nella sua officina a Budapest nel 1932.
Suo compagno di apprendistato era l’amico d’infanzia Endre Friedman, diventato il celeberrimo Robert Capa, le cui strade si sarebbero poi spesso incrociate.
A vent’anni, nel 1932, si era trasferita a Parigi dove aveva cominciato a fare foto per il cinema o ritocchi di moda prima di realizzare i suoi primi reportage grafici il Mercato delle pulci (1933) e I Caffè di Parigi (1935) in cui rianima gli oggetti grazie a un costante sguardo creativo che scruta l’insolito nel quotidiano.
Entrata in contatto con il gruppo surrealista di Montparnasse, insieme all’amico Wolfgang Burger (vignettista e rifugiato tedesco discepolo di Max Ernst), ha creato la potente serie satirica Hitlerei, piccole storie dove i protagonisti erano uova, verdure ed altri oggetti umanizzati che facevano la caricatura del dittatore nazista, ridicolizzando il personaggio e la terribile situazione politica, opponendo alla tragedia un macabro umore sottile e acuto.
Agli inizi di 1937, durante la guerra civile spagnola si è trasferita a Barcellona, con l’incarico di compilare un album per il Comitato di Propaganda Estera del governo repubblicano.
Ha testimoniato il conflitto mostrando la vita quotidiana sia al fronte che nelle retroguardie, con scatti che rivestono l’immagine con una nuova identificazione e recuperano tutta l’integrità umana.
In un approccio intimista che ha ritratto donne di ogni età, bambini, gente comune, contadini, la sua narrazione del dramma umano, allontanandosi dalla crudeltà diretta della guerra, trasferisce il dolore e la morte in un campo immaginario.
Nell’ambiente anarchico aveva conosciuto il marito, l’artista andaluso Jose Horna (da cui aveva preso il cognome) da cui ha avuto la figlia Norah.
In quel periodo ha realizzato collage e fotomontaggi che sintetizzano la sua visione personale. Ha collaborato con diverse riviste e militato per la causa anarchica e femminista come redattrice della rivista Umbral e con Libre Studio, Tierra y Libertad, Mujeres Libres y Tiempos Nuevos.
Con la vittoria dei fascisti in Spagna la coppia è andata a Parigi per poi rifugiare in Messico, dove sono rimasti fino alla fine dei loro giorni.
Nella comunità di artisti europei in esilio di cui è stata una grande ritrattista, rilevante è stato il sodalizio e l’amicizia con le pittrici Leonora Carrington e Remedios Varo. Insieme sono state autrici di esplorazioni artistiche e manipolazioni di negativi per onirici fotomontaggi.
Per revocare le norme tradizionali dell’arte e della società, aveva creato la rivista S.nob che ospitava storie, reportage e interviste fittizie, beffandosi del convenzionale, desacralizzando tutto, arte compresa.
Nella sua sperimentazione surreale, ha prodotto serie in cui gli oggetti avevano forza evocatrice in un ambiente d’irrealtà e stranezza. Cose quotidiane che si trasformano, si rielaborano e acquisiscono un’altra dimensione.
Ha collaborato con Alejandro Jodorowsky e insegnato alla Escuela Nacional de Artes Plásticas de la Università nazionale autonoma del Messico e alla Universidad Iberoamericana.
Si è spenta a Città del Messico il 19 ottobre 2000.
Il suo lavoro fotografico non è molto noto perché si è sempre rifiutata di pubblicizzare e partecipare a mostre.
Alla fine della guerra civile, le sue fotografie insieme ad altri documenti, erano state spedite in casse di legno all’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam e ne aveva venduto una parte al Ministero della Cultura Spagnola.
Un altro corpo è stato donato al Centro Nazionale per la Diffusione e la Ricerca delle Arti Plastiche Messicano.
Dopo 80 anni sono stati ritrovati oltre cinquecento negativi, mai pubblicati con immagini della guerra civile spagnola ma anche tante sperimentazioni surrealiste che sono andate a costituire la sua prima mostra a Madrid nel 2022.