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Sahar Delijani

Sahar Delijani
Sono nata in una prigione iraniana. I miei genitori erano detenuti nelle loro prigioni. Non c’è nulla che possiate dirmi sui crimini del regime iraniano che io non abbia vissuto in prima persona. Questo non significa che io voglia che la mia gente venga bombardata, mutilata, uccisa, che le loro case vadano in rovina. Se la tua visione di liberazione avviene solo attraverso la distruzione di vite innocenti, allora non è la libertà che stai cercando.

Sahar Delijani è una importante voce di riferimento su Iran e Medio Oriente.

Scrittrice e attivista, il suo romanzo d’esordio, Children of the Jacaranda Tree, in italiano L’albero dei fiori viola, è stato tradotto in 32 lingue e pubblicato in più di 75 paesi.

Ha ricevuto il premio Courage to Write della de Groot Foundation, il premio Society of Authors e Author’s Foundation 2023 e diverse borse di studio e residenze artistiche in giro per il mondo. 

Scrive da anni su diverse testate internazionali e, in seguito a un post diventato virale sull’attacco da parte di Israele che ha ottenuto oltre quattro milioni di visualizzazioni, il suo contributo è stato richiesto da diverse emittenti televisive.

Nata il 18 settembre 1983 nella prigione di Evin a Teheran dove sua madre era incarcerata perché oppositrice al regime di Khomeini, nei primi anni di vita è stata cresciuta dai nonni, mentre entrambi i suoi genitori erano ancora detenuti. La madre ha trascorso due anni e mezzo in prigione e suo padre quattro. Suo zio, il fratello minore di suo padre, è stato uno delle migliaia di prigionieri politici giustiziati e sepolti in fosse comuni nel 1988. 

Aveva 12 anni quando, nel 1996, si è trasferita con la famiglia in California, dove si è laureata in Letteratura Comparata all’Università di Berkeley, nel 2006. Ha vissuto anche in Italia, a Torino, per oltre dieci anni, attualmente risiede a New York.

La sua scrittura nasce da una ferita personale e collettiva.

Nel romanzo LAlbero dei Fiori Viola si intrecciano le storie dei genitori alle prese con la rivoluzione tradita degli anni Ottanta, con quelle dei figli, scesi in piazza nel 2009 con l’Onda Verde, contro il regime di Ahmadinejad. Parla della vita che continua, nonostante la paura; di chi ha lasciato l’Iran e di chi ha deciso di restare per provare a cambiare ancora una volta il paese.

Solo gli iraniani sono padroni del proprio destino. Nessuno – tanto meno il governo israeliano che proprio in questo momento sta portando avanti un genocidio contro il popolo palestinese – può decidere per loro. La democrazia non arriva con le bombe. Neanche la libertà e l’uguaglianza. Il popolo iraniano ha lottato per la libertà e continuerà la sua lotta. Non solo la guerra non ci porterà la libertà, ma indebolirà tutti i movimenti civili che in Iran lottano per la democrazia.

Quando eravamo piccoli non dovevamo dire a nessuno che eravamo figli di persone che erano state mandate in prigione. Anni così ti formano per sempre e la paura ti rimane addosso. Ma qualcuno doveva raccontare. Perché non ci può essere un futuro senza memoria: la memoria non è il passato, è il presente. È il futuro.

 

 

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