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Halimata Fofana

Halimata Fofana

Mi muovo tra due mondi a costo di una solitudine che ho domato.

Halimata Fofana è una scrittrice e regista francese figlia di genitori senegalesi, impegnata contro le mutilazioni sessuali femminili.

Aveva cinque anni quando, durante un viaggio di famiglia in Senegal, ha subito l’escissione.

Laureata in Arte alla Sorbonne, con un master in  letteratura, ha vissuto per cinque anni in Canada dove organizzava eventi culturali per l’ambasciata senegalese e lavorava come critica letteraria.

Tornata in Francia, è stata educatrice presso il Tribunale dei Minori di Evry.

Giornalista radio-televisiva e ufficio stampa, ha anche insegnante lettere in un liceo.

Il suo primo romanzo, del 2015, dal titolo Mariama, l’écorchée vive, è stato scritto per rompere il silenzio attorno al tabù della circoncisione femminile.

Nel 2022 ha pubblicato il suo secondo romanzo À l’ombre de la cité Rimbaud una storia commovente che mette in discussione la situazione di molte ragazze divise tra due culture, due territori e due futuri. È anche l’autrice del documentario À nos corps excisés che si può guardare su Arte TV.

Nel mondo una bambina viene circoncisa ogni 4 minuti. In Francia, il numero di donne colpite dall’escissione è stimato a 125.000, di cui 3 su 10 circoncise nel loro paese di origine.

Questa cruenta pratica viene applicata esclusivamente per motivi culturali che porta gravi complicazioni sulla salute di coloro che sono soggette a questa usanza. Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.

È diffusa principalmente in 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma è comune anche in alcuni Paesi dell’America Latina e dell’Asia. Non sono da comunque da escludere l’Europa occidentale, l’America del Nord, l’Australia e la Nuova Zelanda dove le famiglie immigrate continuano a rispettare questa tradizione.

Di seguito stralci di un’intervista a Halimata Fofana nella Giornata Internazionale Contro le Mutilazioni Genitali Femminili che cade il 6 febbraio:

Le ragioni di questa pratica sono duplici: in primo luogo, il desiderio di esercitare un controllo assoluto sul corpo delle donne. Il secondo motivo è la santificazione della verginità delle donne e l’importanza di evitare la maternità al di fuori del matrimonio.

L’escissione è una pratica che va oltre il controllo fisico del corpo delle donne: è anche un controllo simbolico e psichico. 

Il tabù del corpo femminile, della sua sessualità, è molto forte ed esiste in tutte le società. Le vittime lo capiscono implicitamente e sanno di non poterne parlare. Spesso si vergognano di ciò che hanno subito, come molto spesso fanno le vittime di violenza sessuale.

È molto complicato parlare di questo problema, riguarda la sfera familiare, che ne rafforza il tabù. Nonostante tutto vogliamo bene ai nostri genitori che ce l’hanno inflitto. Non dobbiamo dimenticare che le madri, che hanno subito la stessa pratica, circoncidono le figlie pensando di farlo per il loro bene. È qualcosa che si tramanda di generazione in generazione.

Il tabù non è solo tra le vittime ma anche nei media che temono che certe popolazioni possano venire stigmatizzate, è negli insegnanti che non segnalano le ragazze a rischio e le vittime. Quando sono stata circoncisa e sono tornato a scuola con grande difficoltà, nessun insegnante mi ha chiesto che cosa avessi.

Il tabù persiste anche tra medici e ostetriche. Basti pensare che oltre l’86% delle donne delle nuove generazioni arrivate dall’Africa orientale ha subito la circoncisione femminile. Per queste comunità si tratta di tagliare il clitoride e le piccole labbra e cucire le grandi labbra. Rimane solo una piccola apertura per le mestruazioni e l’urina. 

Ci sono alcune donne che, dopo aver partorito, in Occidente, chiedono di essere ricucite, le figlie di queste, sono evidentemente in pericolo che si ripeta la stessa sorte. Eppure sono rari i professionisti che si avvicinano all’argomento e cercano di far emergere il problema.

È stato grazie alla scuola che sono riuscita a rompere il tabù e parlarne. Questo che ci differenzia dalle nostre madri. Abbiamo imparato a mettere in discussione e sfidare. Ho studiato letteratura, leggo molto e non puoi chiedermi di sedermi da qualche parte e aspettare che qualcuno pensi al posto mio. I nostri genitori hanno lasciato l’Africa con la fretta di sopravvivere. Quando si parte in queste condizioni ci resta soltanto la cultura di appartenenza. E in genere chi è partito vi è più legato di chi è rimasto.

So che in Belgio si sta avviando una campagna di sensibilizzazione sull’escissione e il matrimonio forzato, rivolta a diversi ambiti: operatori sanitari, insegnanti, educatori. Penso che sia una buona pratica ed è importante educare tutti coloro che potrebbero essere in contatto con le vittime.

In Francia è molto complicato. Nel 2019 Marlène Schiappa ha lanciato un piano contro l’escissione nonostante esista già una legge francese che vieta qualsiasi mutilazione. Quando discutiamo in famiglia, ci rendiamo conto che non sono le leggi o i piani a cambiare le cose. Cambiamo le cose passo dopo passo, quotidianamente. Servono corsi di alfabetizzazione, corsi di cucina, perché le donne escano dalla propria quotidianità e incontrino altre donne, diverse da loro, che diano l’opportunità di poter parlare per se stesse. Nelle nostre famiglie l’individuo non esiste, è il collettivo che ha la precedenza.

Come ex vittime, anche noi abbiamo una responsabilità. Dobbiamo rompere il tabù e parlare con le nostre madri. Non parlare è partecipare.

Spesso le persone mi chiedono come ho fatto a sopravvivere. Parlo spesso degli spiragli di luce che ho intravisto grazie alla bellezza delle cose che ho vissuto. Un antidoto è leggere poesie, andare a teatro, ammirare le opere d’arte, ascoltare la musica. È molto importante ricercare la bellezza nella propria vita.

 

#unadonnalgiorno

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