Igiaba Scego è una scrittrice italiana di origine somala. È una voce intensa e chiara nel panorama culturale italiano. Il suo punto di partenza è quello della transculturalità, agisce sulla revisione del nostro concetto di stato nel passato coloniale e nel contraddittorio presente. Una donna giovane, intelligente, documentata, colta che non la manda a dire, mai. Opinionista, attivista e giornalista, ha già all’attivo vari libri e collaborazioni importanti. Scrive per svariate riviste che si occupano di migrazioni e di culture e letterature africane. Scrive anche su Repubblica, Il manifesto, Internazionale. Ha curato dal 2007 al 2009 la rubrica di opinioni I colori di Eva, per la rivista Nigrizia.
La sua è una scrittura italiana post-coloniale, impregnata del femminismo decoloniale che si interseca nelle sue produzioni che toccano l’identità di genere, il colore della pelle e l’idea di nazione. Attraversa, interroga e ridefinisce i tratti autoritari e essenzialisti, restituendo loro diverse tonalità.
Le opere di Igiaba Scego sono piene di riferimenti autobiografici e sono caratterizzate dal precario equilibrio tra le due realtà culturali d’appartenenza, quella d’origine (somala) e quella vissuta nel quotidiano (italiana). Restituisce sagacemente la doppiezza della dimensione sincretica in cui è cresciuta.
Nel 2003, ha vinto il premio Eks&Tra per scrittori e scrittrici migranti con il suo racconto Salsicce. Il suo romanzo di esordio è stato La nomade che amava Alfred Hitchcock.
Nel 2007, ha curato la raccolta Quando nasci è una roulette. Giovani figli di migranti si raccontano. La storia di sette ragazzi e ragazze di origine africana, nati a Roma da genitori stranieri (o arrivati in Italia da piccoli): la scuola, il rapporto con la famiglia e con i coetanei, la religione, il razzismo, i sogni.
Nel 2011, ha vinto il Premio Mondello come autrice italiana, con La mia casa è dove sono edito nel 2010 da Rizzoli.
Nel 2017 è coautrice, insieme a Ilvo Diamanti, Luigi Manconi e Pietro Massarotto del libretto “Per cambiare l’ordine delle cose“, pubblicato in contemporanea all’uscita del film del regista Andrea Segre “L’ordine delle cose“.
L’originalità della sua scrittura, contribuisce a creare una nuova sensibilità nella percezione dell’attualità e del passato dell’Italia.
Figlia di genitori somali, Igiaba Scego testimonia della migrazione della generazione precedente, in particolare femminile, e dell’universo delle seconde generazioni nate e cresciute in Italia. Riflette sull’attualità italiana, culturale, politica e sociale, creando continui corti circuiti tra passato e presente. Se la sua riflessione sull’Italia e sull’essere italiani prende le mosse dalla sua condizione biografica, vivere in questa condizione esistenziale significa anche dover fare i conti con il passato coloniale italiano che ha posto le premesse per la sanguinosa guerra civile che sta devastando il paese dei genitori e che ha portato alla diaspora somala nel mondo. Questo passato coloniale è messo in prospettiva con una vivace critica della situazione attuale italiana. Trasformando le modalità narrative e linguistiche, la scrittrice contribuisce alla costruzione di un nuovo codice letterario e culturale di una società aperta sul mondo e memore delle ferite della storia.
Nella sua produzione un posto importante viene occupato dall’amore per la cultura musicale e la letteratura per l’infanzia, la promozione di una diversa nozione di appartenenza e la riflessione sulla rappresentazioni della diversità. Una espressività, la sua, pregna di impegno pedagogico e sensibilità sociale.
Ha curato anche l’antologia di racconti di scrittrici afroitaliane Future. Ho proposto un’antologia di scrittrici nere perché in questo periodo gli intellettuali afrodiscendenti o di diversa origine rispetto agli italiani, come la sottoscritta, sono di fatto “silenziati”. Ho cercato di rompere il muro dell’indifferenza e dare visibilità a storie che il razzismo imperante nel nostro Paese non ha fatto emergere.
La fruizione dell’arte è per Scego, la possibilità per le persone di ricevere «occhi nuovi per guardare il mondo che attraversano ogni giorno». In questo senso, la scelta del romanzo come forma artistica acquista valore ulteriore perché consente ai temi che sono in oggetto nel racconto di uscire dalla bolla della ricerca e dello specialismo, e porta aria fresca a un dibattito pubblico da troppo tempo incattivito dalla strumentalizzazione politica, dall’odio populista e da un livello medio veramente basico.
Igiaba Scego evidenzia le contraddizioni della società rispetto alle figure migranti e il difficile rapporto tra arte e politica, denuncia civile e dimensione estetica.
Al centro della sua ultima opera, La linea del colore: Il gran tour di Lafanu Brown, c’è il corpo. Il corpo della donne, il corpo nero e quello migrante, fragile, esposto, in movimento continuo e precario, un corpo a perdere e segnato della paura di essere perduto. Il viaggio transatlantico di Lafanu, la protagonista, è una discesa verso gli antenati, evoca il viaggio verso l’Europa attraverso il Mediterraneo, e diventa, soprattutto, il modo per ragionare sulla rivendicazione del diritto di spostarsi quanto sul senso legittimo di restare, alla luce di libere scelte, per chiunque viva in un paese in crisi.
Il lavoro di Igiaba Scego è un invito a cambiare prospettiva culturale che dovrebbe farsi senso comune e rientrare nelle linee guida culturali dell’insegnamento come fondamento della cittadinanza: il tratto imperialista dell’identificazione omologante e della narrazione maggioritaria ha rimosso quanto la storia d’Italia sia stata raccontata come se il paese fosse isolato dal resto del mondo, senza le mille contaminazioni che scambi e conquiste hanno necessariamente significato nella geografia umana della nostra penisola.
Il sapere comune condiviso, di cui la narrazione pubblica in rete è origine e riflesso, continua a stare dentro una canonizzazione della cultura europea come insieme di luoghi comuni, spesso storiograficamente e criticamente esausti, che ha trasformato la metafisica classica e le storie nazionali – la “mitologia bianca” – nel volto necessario della verità.
C’è ancora tutto da costruire in Italia, nelle pratiche diffuse e nei diversi contesti dell’educazione, della comunicazione e della ricerca, un rivolgimento di prospettiva volto a orientare diversamente il canone, a partire dai suoi fondamenti, ibridarlo con altre tradizioni per metterle in discussione tutte, in nome di un dichiarato policentrismo che diventa consapevole etnocentrismo critico o acentricità relativa e laica.
Il segno tracciato nella narrazione di Igiaba Scego rappresenta la vita, che tanto è capace di dividere quanto può unire le molte parti di sé e i diversi modi di essere l’umano, in nome della comune appartenenza al cerchio del dolore e della vita stessa.
La sua narrazione acuta, aperta e intelligente, sta dando un fondamentale contributo alla fondazione di un nuovo modo di pensare e considerare la nostra prospettiva attuale. Sta fornendo un argomentato punto di vista differente. Ci consente di analizzare e leggere la nostra storia recente e passata attraverso altre lenti. Il suo contributo è necessario al dibattito contemporaneo.
Più che ricordato il fascismo (quindi anche il colonialismo che ne è solo un aspetto) andrebbe studiato. Non sappiamo veramente bene cosa ha significato per gli italiani, ma anche per gli eritrei, somali, etiopi, libici, ebrei italiani. Spesso ci fermiamo alla superficie, al saluto romano, al gossip di guerra. Ma dovremmo andare oltre. E soprattutto decostruire i lasciti di un regime ventennale tra i più violenti al mondo. Ma il fascismo è solo un aspetto di un’Italia che si è costruita facendo la guerra ai subalterni, spegnendo i cervelli degli intellettuali. E questo da subito, dall’unità d’Italia. Non è un caso che il colonialismo in Africa sia stato preceduto da un colonialismo interno. Lo dico sempre: prima di colonizzare Asmara o Mogadiscio, l’Italia ha colonizzato Napoli e Palermo. Secondo me la devastazione dei corpi, delle anime e della memoria va fatto risalire a questo colonialismo interno. Per capire Mogadiscio, si deve passare per Napoli. Il sistema coercitivo, denigratorio, discriminatorio in Italia c’era ben prima del fascismo, con il regime mussoliniano è diventato dogma di Stato e pratica. Ma c’era da prima. E purtroppo c’è stato anche dopo. Se vogliamo costruire un’Italia libera dalle discriminazioni dobbiamo disinnescare gli stereotipi che si sono formati verso l’altro, il cosiddetto diverso, in 150 anni di storia. Non è facile. Ma se vogliamo aver cura del nostro Paese e di noi stessi dovremmo farlo. Solo nella storia, nel suo studio, c’è l’antidoto per il razzismo. Non sapere crea invece l’alibi per poter continuare a odiare.
#unadonnalgiorno