Irmgard Keun, scrittrice tedesca, autrice di sceneggiature, reportage e una dozzina di romanzi in cui ha raccontato le contraddizioni della società europea prima e durante la Seconda guerra mondiale, concentrandosi in particolare sulla condizione della donna.
Vorrei una notte di musica e lanterne e danze, voglio tutto, lo voglio subito, me la divorerei questa vita, fino allo sfinimento, come se domani dovessi morire e non potessi godermi più niente.
Miseria e povertà forse non sono neanche il peggio.
Il peggio è che a questa gente è stato sottratto ogni senso di responsabilità.
Il peggio è che alcuni di loro si sentono quasi a proprio agio nell’«io non posso farci niente», si adagiano nell’idea che la loro miseria sia soltanto colpa di altri come fossero chiusi in una bara.
Assassinano la virtuosa consapevolezza della loro pigrizia e imperfezione, lasciano che la voglia di vivere e la forza di desiderare, muoiano lentamente dentro di loro, non possono certo farci nulla.
E se l’effettiva colpa altrui copre un minuscolo granello della loro colpa, forse quello è il peggio, quella è la fine, quello vuol dire essere morti.
Le opere di Irmgard Keun furono proibite dai nazisti; per tutta risposta l’autrice fece causa allo Stato per danni.
All’inizio degli anni Trenta, i suoi Gilgi, una di noi e Doris, la ragazza misto seta, la trasformarono in un caso letterario rendendola una celebrità internazionale.