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Maddalena Cerasuolo e le “Quattro giornate di Napoli”

Maddalena Cerasuolo, Lenuccia

Napoli fu la prima città italiana a liberarsi da sola dall’occupazione nazifascista, ancor prima dell’arrivo delle truppe americane. Un anno e mezzo prima che Milano fosse liberata il 25 aprile del ’45.  L’insurrezione popolare contro l’esercito tedesco che si realizzò dal 27 al 30 settembre 1943 è nota come le “Quattro giornate di Napoli”.

Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia, partecipò attivamente alla battaglia contro l’esercito tedesco. Era nata il 2 Febbraio 1922 nel Quartiere Stella a Napoli in una famiglia popolare e numerosa, aveva cinque sorelle e due fratelli. Il padre Carlo, cuoco, distintosi per le sue azioni nella prima guerra mondiale, monarchico e antifascista, durante la seconda guerra mondiale, gestiva la mensa dell’Ansaldo, quando perse il lavoro, vendeva pizze fritte per strada. La madre, Annunziata Capuozzo, era stata aiuto-cuoca all’Ansaldo al seguito del marito e successivamente lo aiutò con le pizze. Maddalena era un’operaia “apparecchiatrice di scarpe” in un calzaturificio.

Lenuccia arrivò a combattere per le strade di Napoli fianco a fianco con gli uomini, diventando protagonista d’imprese la cui portata storica in quel momento non poteva essere colta da una ragazza poco più che ventenne. La molla che fece scattare in lei la decisione di combattere fu non solo il desiderio di seguire il padre, Carlo, militante antifascista, ma anche la paura che suo fratello Giovanni, che aveva appena 18 anni, fosse catturato dalle truppe tedesche.

Durante gli scontri armati nel quartiere Materdei, Lenuccia per impedire che i tedeschi depredassero una fabbrica, si offrì di andare da sola in avanscoperta per poter valutare l’entità delle forze tedesche, mettendo a rischio la propria vita.

Successivamente volle andare a parlare con gli ufficiali tedeschi, mettendo in conto la possibilità che non le fossero riconosciuti da parte tedesca i diritti sanciti dalle Convenzioni di Ginevra.

Non si tirò indietro nemmeno quando i partigiani dei rioni Materdei e Stella, sotto la guida fra gli altri proprio di suo padre Carlo, sferrarono l’attacco per difendere il Ponte della Sanità dai guastatori tedeschi che volevano farlo crollare.

In seguito alla liberazione di Napoli, Lenuccia continuò ad impegnarsi affinché anche il resto d’Italia venisse liberato.

Venne contattata dal Comando inglese di stanza a Napoli, insieme ad altri partigiani che si erano distinti per il loro coraggio, e accettò di entrare a far parte dei servizi segreti inglesi, arrivando a farsi paracadutare oltre la “Linea Gotica” che divideva in due l’Italia.

Collaborò con la Special Force dall’Ottobre 1943 al Febbraio 1944. Come infiltrata partecipò a missioni segrete, a sbarchi da sommergibili sulle coste nemiche, rischiando di essere fucilata.

Maddalena Cerasuolo fu una vera e propria eroina e per il suo contributo nelle “Quattro Giornate di Napoli” venne riconosciuta partigiana il 24 maggio del 1946 e ricevette una medaglia di bronzo al valor militare.

Nell’anno precedente, per il suo impegno nella Special Force aveva già ricevuto un “Attestato di Benemerenza” dal Comando Numero 1 della Special Force .

Una volta finita la guerra, ritornò alla sua vita di sempre, si sposò e ebbe due figli, ai quali raccontò, come fossero delle favole, i ricordi della “sua guerra”.

Fino alla sua scomparsa nell’ottobre del 1999, ha rilasciato numerosissime interviste, divenendo una delle testimoni più note della Resistenza napoletana,  il “volto” e la “voce” delle donne della Resistenza meridionale.

Morì a Napoli il 23 ottobre 1999.

Il 3 Marzo del 2000 a Napoli le venne dedicata una una targa “la straordinaria Lenuccia eroina delle quattro giornate del 1943 in perenne ricordo e ammirazione”.

Il 27 gennaio 2011 il comune di Napoli intitola a Maddalena Cerasuolo il ponte che sovrasta il rione “Sanità”.  Il Ponte rappresenta un luogo simbolico straordinario per la città anche perché è uno dei pochissimi intitolati a una donna.

Sua figlia, Gaetana Morgese, scrisse la sua storia nel libro “La guerra di mamma”, in cui vi sono i ricordi della madre di quelle giornate di lotta.

La partecipazione di Maddalena Cerasuolo alla rivolta delle “Quattro giornate di Napoli” non fu un caso isolato, l’intervento delle donne napoletane nell’insurrezione fu massiccio, considerando anche il fatto che la maggior parte degli uomini erano arruolati. Arrivò dopo settimane di esasperazione per i rastrellamenti e i saccheggi da parte degli occupanti nazisti.

Il ruolo della componente femminile nell’insurrezione, però, è stato troppo spesso ignorato o sminuito.

Dai racconti della stessa Maddalena Cerasuolo,  di fatto furono proprio le donne napoletane ad iniziare l’insurrezione, non il 27 ma già il 23 di settembre, nel giorno della promulgazione del famigerato “Editto Sholl”, con il quale si imponeva a circa trentamila giovani napoletani, di età compresa fra i 18 e i 33 anni, di presentarsi spontaneamente ai centri di reclutamento per essere deportati in Germania nei campi di lavoro, pena la fucilazione.

Questi giovani, di ritorno dai vari fronti di guerra europei, accolsero la notizia con angoscia tanto da decidere di non presentarsi, consapevoli che sarebbe stata una partenza a cui non avrebbe fatto seguito un ritorno a casa.

E ne erano consapevoli anche le donne napoletane, decise a nascondere e difendere in ogni modo i propri figli, mariti, fratelli, e salvarli dai nazifascisti.

In mille modi riuscirono ad aggirare i controlli dei tedeschi e dei fascisti che cercavano gli “imboscati”, come fece una mamma del rione Materdei che per salvare dei ragazzi ebbe l’idea geniale di fingersi malata di lebbra, scoraggiando così i tedeschi a entrarle in casa.

L’intraprendenza e il coraggio delle donne napoletane vennero fuori in tutta la loro forza in quei momenti drammatici e quando i nazifascisti iniziarono i rastrellamenti casa per casa per stanare tutti coloro che si erano nascosti per disattendere la chiamata fu allora che le donne scesero in strada per bloccare le truppe in ogni modo e salvare la vita ai loro cari.

Quando fu costruita la barricata nella zona di San Giovanniello, anche i “femminielli” (termine napoletano per omosessuali e transgender) accorsero in massa per difenderla, per anni erano stati abituati a fronteggiare la polizia e il potere e non si tirarono indietro davanti all’occupazione nazista.

La rivolta napoletana del 1943, con eterosessuali e “femminielli” che combatterono fianco a fianco, ha rappresentato una delle principali lezioni di integrazione nella storia contemporanea italiana. Soprattutto considerando il momento storico in cui si è verificata, un periodo caratterizzato dal confino, da violenze e eccidi contro omosessuali e transessuali.

Dopo anni di soprusi, per gli omosessuali napoletani arrivò il momento di prendersi la loro rivalsa, cogliendo al volo l’occasione di non stare a guardare, ma entrare a far parte della storia.

#unadonnalgiorno

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