Micaela De Gregorio, chiamata affettuosamente Mama Likoni, era una volontaria in Kenya, scomparsa a 50 anni, domenica 10 maggio 2020.
Aveva dedicato la sua vita agli altri, era diventata il punto di riferimento per decine di piccoli senza famiglia che sapevano di poter contare su di lei.
Nel 2013, aveva deciso di andare ad aiutarli a casa loro. Una scelta frutto della mancanza di opportunità che l’Italia le offre e della convinzione che l’Occidente “debba riparare ai danni e alle razzie fatte nel passato nei confronti dell’Africa con secoli di colonizzazione e guerre, schiavitù e Apartheid”. Queste parole provengono da un’intervista fattale tempo fa.
Nel 2014, lascia la sua professione da pubblicitaria, vende il suo monolocale e, con il supporto dell’associazione Mama Africa, inizia la sua missione di volontariato a Likoni, nel distretto di Mombasa, Kenya.
Aveva iniziato dando il suo contributo in un piccolo orfanotrofio che ospitava 45 bambini e poi, grazie alla vendita della sua casa e alla raccolta fondi avviata, era riuscita a allestire un dormitorio per dare a ognuno dei suoi bambini un letto in cui dormire. Aveva fondato l’organizzazione no profit Likoni Yetu.
Dato il via a una serie di progetti per cercare di aiutare le famiglie, affinché i bambini potessero restare accanto ai genitori.
Si era inventa ‘Adotta un Pasto’, per dare una pietanza a base di carne a 13 famiglie di Likoni. Faceva la spesa e ogni due settimane cucinava lei stessa il ragù, per poi consegnarlo casa per casa, direttamente nelle mani dei bambini.
Andando casa per casa, cercava di rendersi conto delle condizioni dei più piccoli. Se erano malati, malnutriti, abbandonati. Cercava sostegni a distanza per loro, pagava le scuole, comprava scarpe e materiale per la scuola, pensava alla formazione delle mamme.
Micaela De Gregorio nell’intervista parla anche dei rischi quotidiani. Della paura di trovarsi già alle 18.30 al buio, nelle strade senza luci di Likoni, degli spari sulla gente, dei manifesti con le foto dei terroristi ricercati vivi o morti.
Della paura per la sorte di Silvia Romano. “Le polemiche sul sequestro, spiega, mi hanno fatto letteralmente vomitare, ma del resto l’Italia sta vivendo, a mio avviso, un momento tale di intolleranza, razzismo ed ignoranza che mi vergogno quei pochi mesi che sono a Milano tra un visto e un altro”.
Poi è arrivato il Coronavirus. Anche in Africa, in un contesto pieno di bambini sieropositivi, casi di tubercolosi, malaria, tifo. Dove già prima del Covid-19 si poteva morire di una polmonite, ma anche di influenza. Lei stessa aveva preso tre volte la malaria. Si è impegnata per cercare di far arrivare igienizzante, termometri e antipiretici.
A marzo 2020 ha la possibilità di tornare in Italia, ma ha deciso di non farlo. Rimane in quarantena, nella sua casa di Likoni.
Un destino infame ha voluto che la donna morisse proprio nelle stesse ore in cui Silvia Romano veniva liberata, a causa di complicazioni dovute a un’infezione intestinale. Se n’è andata così. Lavorando, facendo, sognando.
L’ultima consegna del ragù ai bambini è stata il 29 aprile. È rimasta a Likoni, la casa che si era scelta, il paese che aveva scelto.
Grazie Micaela per quello che hai fatto.
#unadonnalgiorno