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Titina Maselli

Titina Maselli

Da bambina e da adolescente sono stata educata al culto della volontà… Poi lo psicoanalista ha sorriso ironicamente quando ho pronunciato questa parola… Ma mi sono presto ribellata a tutte le ironie su “volere è potere”. Perché non c’è un altro modo di corrispondere al proprio desiderio di esprimersi se non con la volontà.

Titina Maselli è stata un’artista poliedrica, nota per il suo amore per le scene urbane caratterizzate da grandi simboli iconici di velocità e modernità.

Le sue opere coniugano arte e sport con immagini di calciatori, ciclisti e pugili, colti nel pieno dell’azione.

Ha riletto in chiave critica il Futurismo, dando misura del moderno contesto metropolitano, con le sue dinamiche e i suoi rituali, gli scontri e le accelerazioni. Successivamente ha aderito ai nuovi colori dei prodotti e della comunicazione di massa, per arrivare a creare tele dal taglio quasi cinematografico. Ha dipinto, scritto, disegnato importanti scenografie teatrali e vissuto, da grande artista, libera e colta.

Titina è il diminutivo di Modesta, nata a Roma l’11 aprile 1924, primogenita di Ercole, noto critico e di Elena Labroca, suo fratello minore è stato il regista Citto Maselli.

La sua precoce vocazione artistica, fortemente incoraggiata dal padre, è stata forse dovuta anche all’ambiente di grande vivacità culturale in cui è cresciuta, la sua famiglia frequentava i maggiori intellettuali, artisti e musicisti dei tempi.

Ha iniziato a dipingere sin da bambina e seguito la sua passione per l’arte con coraggio e determinazione.

Nel 1944 ha partecipato alla Prima Mostra d’arte Italia libera, alla Galleria di Roma promossa dal Partito d’azione.

La sua prima personale si è tenuta alla Galleria l’Obelisco di Roma, nel 1948, dando il via a una carriera che l’ha vista più volte presente alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. 

Attratta dagli scenari urbani, anonimi, moderni, colti nell’oscurità della notte, rivolgeva la sua attenzione verso temi inusuali, detriti, oggetti reali che difficilmente avrebbero ispirato altre artiste e artisti, un telefono, una macchina da scrivere, una di quelle cartacce che la notte fanno un grumo bianco sull’asfalto della città.

Ha vissuto un’intensa vita di relazioni e vivaci interessi per la scrittura, la letteratura, il cinema, il teatro e la musica.

Nel 1950 ha preso parte per la prima volta alla Biennale di Venezia con l’opera Giocatore ferito.

Colpiva la sua durezza espressiva, la pittura aspra, scevra da ogni compiacimento per la bella materia, caratterizzata da stesure corpose e gamme cromatiche ristrette, dove dominava il nero. I suoi dipinti comunicavano profondo disagio.

Nella sua evoluzione artistica è stato importante il soggiorno a New York dal 1952 al 1955 dove, affascinata dall’atmosfera della città, l’implacabile incombenza della sua struttura urbana, ha scelto la moderna condizione metropolitana come tema centrale del suo immaginario pittorico: grattacieli, scale antincendio, impalcature, distributori di benzina, giocatori di baseball, pugili, convogli della metropolitana, spesso colti in primi piani ravvicinati, ostruenti, sempre con pochi colori, in un discorso freddo, scevro da implicazioni sentimentali, narrative, sociologiche, come anche da seduzioni pittoriche.

Dopo aver vissuto qualche anno in Austria, nel 1958 è tornata a Roma nel suo ambiente artistico e dove ha continuato a esporre, nonostante la critica sua coeva, trovasse difficoltà a collocare  il suo singolare percorso di outsider dell’arte contemporanea.

Alla Biennale di Venezia del 1964 ha presentato raffigurazioni di volti di taglio cine-fotografico, come Greta Garbo in cui emergeva con particolare evidenza, il suo ruolo pionieristico nella selezione d’immagini tipiche dell’iconografia quotidiana utilizzata dalla pop art.

Ho sempre cercato di prendere dalla realtà degli elementi simbolicamente drammatici, e poi però ragionarli. Gli americani vogliono dipingere la cosa in sé. Io invece intendevo dipingere dei conflitti, ha spiegato in un’intervista.

Alla fine degli anni Sessanta ha realizzato le sue prime scenografie per la compagnia d’avanguardia Il Porcospino, promossa da Dacia Maraini, Enzo Siciliano e Alberto Moravia.

Nello stesso periodo, come attrice, ha recitato nei film Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi e Lettera aperta a un giornale della sera, del fratello Citto Maselli.

Dal 1970 la sua attività ha iniziato a dividersi fra Roma e Parigi, avviando una nuova stagione della sua ricerca che si è coniugata con un cromatismo squillante su tele sempre più grandi.

Sempre più importanza, ha assunto, da allora, il lavoro di scenografa teatrale in cui si è distinta per originalità di approccio e di esiti. Aveva dalla sua il potente strumento di possedere una grande cultura letteraria e musicale.

A teatro, ha lavorato per grandi registi come Bernard Sobel, al Festival di Avignone, Klaus Michael Grüber, Marc Liebens e Carlo Cecchi col quale si è instaurata una profonda sintonia e un duraturo e importante rapporto di collaborazione.

Dagli anni Novanta, il crescente interesse verso le sue opere ha portato a varie mostre antologiche, rassegne e collettive, che delineavano ampie rivisitazioni del suo percorso in Italia e all’estero.

Di pari passi, andavano gli importanti e numerosi allestimenti di potente efficacia scenica per alcuni dei maggiori teatri e festival europei, confrontandosi con testi classici e moderni, in un fecondo rapporto di collaborazione, con molti registi.

In questa ultima stagione è continuata la sua passione per la scrittura, con la stesura di note autobiografiche, poesie, e un romanzo a cui non ha mai dato piena visibilità.

Nel 2000 le è stato conferito il Premio Presidente della Repubblica e, per i suoi ottant’anni, nel giugno 2004 la città di Roma, l’ha festeggiata alle Scuderie del Quirinale.

È morta nella sua casa di Trastevere, il 21 febbraio 2005.

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