Rosa Menni, artista, imprenditrice, giornalista, perseguitata durante il fascismo, è ancora una figura poco nota della storia italiana.
Ha avuto un’atelier di tutte donne frequentato dalle avanguardie culturali, fondato un’azienda che produceva sete e tessuti commissionate da case di moda e di arredamento, ha collaborato e contribuito a fondare riviste d’arte e costume. Ha tradotto libri, collaborato a programmi televisivi, prestato opera di assistenza durante la guerra e, dopo il conflitto, si è impegnata attivamente per il voto alle donne, per la costituzione della Repubblica e per l’Assemblea Costituente.
Nata a Milano il 13 maggio 1889 da una famiglia benestante, il padre era un alto funzionario bancario e la madre una ballerina della Scala, morta prematuramente a causa di parto. Aveva ricevuto una buona istruzione e si era diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera dove aveva avuto modo di conoscere diversi artisti e artiste, tra cui Anna Beatrice D’Anna, pseudonimo di Anna Beatrice Hirsch e Gemma Pero con cui aveva condiviso un atelier considerato una novità tra le artiste milanesi dell’epoca.
Con le due colleghe ha partecipato a numerose esibizioni come la Mostra dell’Incisione Italiana e quelle allestite dalla Famiglia artistica, dal Lyceum Femminile, dalla Reale Accademia di Belle Arti, Esposizione Nazionale di Belle Arti, la Federazione Artistica Italiana e dall’Associazione femminile Per l’arte.
Ha collaborato alla Sezione Propaganda Artistica del Comitato d’Azione tra Mutilati, Invalidi e Feriti di Guerra e, durante la prima guerra Mondiale, ha prestato servizio come infermiera volontaria al Pio Albergo Trivulzio, che ospitava un ospedale militare.
Nel 1917 ha aderito e scritto diversi articoli per l’esposizione dei giocattoli presso il Lyceum Femminile, che aveva l’obiettivo di rinnovare l’artigianato tradizionale e collegare l’arte decorativa alla produzione industriale. L’iniziativa era stata promossa dalla testata Pagine d’Arte, curata dal critico d’arte Raffaello Giolli che, nel 1920 divenne suo marito.
Nel suo progressivo abbandono della pittura per dedicarsi all’arte applicata ai tessuti, nel 1919, l’aveva portata ad avviare la sua personale produzione artigianale, Le stoffe della Rosa che produceva e rivestiva complementi d’arredo, oggetti personali, da toilette, cornici e molte altre creazioni per il design di case, negozi, teatri. In quegli anni le venivano commissionati lavori dalle migliori case sartoriali del tempo, da grandi professionisti che si occupavano dell’allestimento d’interni portando i suoi manufatti in esposizioni nazionali e internazionali, che le valsero diversi premi e medaglie.
Si è mossa tra arte e artigianato come attività trasformativa in cui mettere a disposizione le proprie visioni del mondo, per costruire una società fondata sulla libertà, unica scelta possibile per la convivenza e la felicità umana.
In conseguenza della crisi economica del 1929, aveva chiuso il laboratorio e cominciato a scrivere d’arte per diverse testate come Domus, Casabella e Problemi d’arte attuale (poi Poligono, Rivista mensile d’arte) periodico pubblicato dal marito che aveva fondato la casa editrice AEA, Anonima Editrice d’Arte.
Nel 1933 ha avuto l’idea di dare vita a un settimanale femminile innovativo, Eva, in cui ha scritto, fino al 1948, di arte decorativa, architettura, arredamento, curando parte della corrispondenza con le lettrici e riproponendo alcuni suoi manufatti.
La posizione antifascista della sua famiglia aveva portato devastanti conseguenze. Il marito venne prima allontanato dalla scuola per non aver giurato fedeltà al regime e poi inviato al confino con il loro primogenito Paolo. I coniugi vennero arresti il 14 settembre 1944 e rinchiusi nel Carcere di San Vittore. Raffaello che, anche dopo atroci torture, si era rifiutato di tradire i suoi compagni, venne mandato al campo di concentramento di Mauthausen, dove è morto il 6 gennaio 1945.
Il figlio Ferdinando, arruolato nella Brigata Garibaldi, venne catturato e fucilato a Villeneuve il 14 ottobre 1944 e Paolo, una volta liberato dal domicilio coatto, venne mandato a combattere in Grecia, dopo l’8 settembre fu rinchiuso in diversi campi di detenzione, è tornato libero in seguito al 25 aprile.
Dopo la Liberazione, Rosa Menni ha militato nelle file del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, è stata anche una delle pochissime donne candidate e ha sostenuto la propaganda politica per il referendum istituzionale del 2 giugno e per l’Assemblea Costituente.
È stata direttrice dell’edizione lombarda di Noi donne, organo quindicinale dell’UDI, nel 1945.
Per alcuni anni ha vissuto in Brasile. Tornata in Italia si è dedicata alla scrittura, ha tradotto la biografia di Isadora Duncan, pubblicato il saggio La disfatta dell’Ottocento partendo dal recupero e riordino degli scritti del marito non andati persi con le perquisizioni, ha organizzato la puntata del programma RAI Enigmi e Tragedie della Storia dedicata alla figura di Pia de’ Tolome e, nel 1964, ha istituito il Premio Raffaello e Ferdinando Giolli, per promuovere e sostenere giovani talenti letterari.
È morta a Melzo, Milano, il 13 novembre 1975.
Nel 2020 è uscito il primo libro sulla sua storia Rosa Menni Giolli (1889-1975) Le arti e l’impegno, scritto da Patrizia Caccia e Mirella Mingardo.
Rosa Menni ha condotto una vita all’insegna della bellezza, dell’arte, della cultura, dell’impegno politico e sociale. Non deve essere dimenticata.
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