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Aminatou Haidar, attivista sahrāwī

Aminatou Haidar attivista sahrawi

Aminatou Haidar è un’attivista sahrāwī che lotta in difesa dei diritti umani e dell’indipendenza delle popolazioni del Sahara Occidentale.

Nata a Laayoune il 24 luglio 1966, viene spesso chiamata la Gandhi Sahrawi o la Pasionaria Sahrawi, è famosa per le sue proteste non violente.

Una laurea in letteratura moderna, instancabile nelle sue battaglie, gira il mondo per far conoscere la sua causa.

È la presidente del Collettivo dei Difensori dei Diritti Umani Sahrawi (CODICE). 

È stata incarcerata per la prima volta nel 1987 per aver partecipato a una manifestazione non violenta contro l’amministrazione marocchina. Oggetto di sparizione forzata da parte delle autorità marocchine, è stata detenuta senza processo fino al 1991, quando finalmente è stata rilasciata. Durante la detenzione ha subito angherie di ogni sorta, era stata imbavagliata, affamata, privata del sonno, sottoposta a scosse elettriche e picchiata duramente. Le autorità marocchine non hanno mai fornito alcuna spiegazione per la sua detenzione.

Il 17 giugno 2005 venne attaccata dalla polizia mentre si recava a una manifestazione per l’Intifada per reclamare l’indipendenza del Sahara occidentale. Era ricoverata in ospedale con trauma cranico e dodici punti quando venne arrestata con l’accusa di “partecipazione a attività di protesta e incitamento alla violenza” e “appartenenza ad un’associazione non autorizzata“. 

Detenuta nella prigione di El Aaiún, ha iniziato uno sciopero della fame durato due mesi per protestare sul barbaro trattamento riservato ad alcuni compagni militanti e per chiedere il miglioramento delle condizioni di detenzione.

Per la sua scarcerazione fu avviata una campagna internazionale, alla quale partecipò anche il Parlamento Europeo.

Amnesty International, che aveva mandato un delegato a seguire il processo, la adottò come prigioniera di coscienza.

È uscita dal carcere dopo aver scontato tutta la pena il 17 gennaio 2006. Aveva subito violenze e torture durante gli interrogatori.

Appena liberata dichiarò: “La gioia è incompleta senza la scarcerazione di tutti i prigionieri politici sahrāwī e senza la liberazione di tutti i territori della patria ora sotto occupazione degli oppressori.”

Svolge il ruolo di ambasciatrice itinerante della Repubblica Democratica Araba dei Sahrāwī.

Il 13 novembre 2009, era di ritorno dagli Stati Uniti, dove era stata insignita del Civil Courage Prize quando all’aeroporto le autorità marocchine l’hanno interrogata e le hanno confiscato il passaporto, adducendo come motivazione la mancata ottemperanza ai requisiti amministrativi previsti per entrare nel paese. Le forze di sicurezza avrebbero concesso il suo rilascio a condizione che riconoscesse la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale. Al suo rifiuto, Haidar è stata trasferita a Lanzarote, nelle Canarie, contro la sua volontà. Dalla versione fornita dalle autorità del paese, l’attivista avrebbe «ripudiato la nazionalità marocchina e confermato il suo sostegno all’ideologia separatista». All’arrivo, Haidar ha iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta.

La sua espulsione, già preordinata, come si è accertato successivamente, faceva parte di una serie di provvedimenti nei confronti di vari attivisti sahrawi a cui erano stati confiscati i documenti per impedire loro di recarsi in Mauritania e in Spagna.

Per la sua azione è stata anche accusata di disturbo all’ordine pubblico, multata e costretta a comparire in tribunale. 

Per farla rimpatriare è intervenuto l’Alto Commissario per le Nazioni Unite, aveva intanto avuto il sostegno di molte associazioni umanitarie e di personaggi celebri come il premio Nobel José Saramago che si recò a visitarla in aeroporto durante la sua protesta. Si erano schierati in suo favore per invitare i governi spagnolo e marocchino a intraprendere un dialogo per la sua sicurezza, anche il Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, il regista Ken Loach, lo scrittore Eduardo Galeano, l’attore Javier Bardem, l’attivista guatemalteca Rigoberta Menchú, il musicista Brian Eno e tantissime altre e altri esponenti del mondo della cultura e della politica mondiale.

In sostegno alla sua causa sono stati organizzati concerti e una lettera aperta con eminenti firmatari, tra cui tre premi Nobel, Günter Grass, Dario Fo e José Saramago, è stata inviata al re di Spagna Juan Carlos, chiedendogli di intercedere col Marocco.

Dopo quasi un mese di inedia, in cui è stata ricoverata in ospedale perché troppo debole e ormai incapace anche di ingerire i liquidi, è stata rimpatriata anche grazie all’intervento di Hillary Clinton.

Al suo rientro è stata posta agli arresti domiciliari e impedito ai giornalisti di parlare con lei.

Nel 2010 è tornata in Spagna, di cui aveva una carta di soggiorno, per curarsi, il suo corpo era pesantemente debilitato dopo l’incarcerazione e lo sciopero della fame.

Amnesty International ha dichiarato che Aminatou Haidar e la sua famiglia erano sotto costante sorveglianza da parte delle forze di sicurezza marocchine che non risparmiava loro molestie e intimidazioni, suo figlio ha una disabilità permanente dovuta alle percosse da parte dei poliziotti. Ella stessa, ha dichiarato di aver continuato a subire attacchi violenti durante manifestazioni pacifiche.

Al governo marocchino l’azione non violenta e il coraggio di questa donna continuano a dare molto fastidio.

Per il suo impegno Aminatou Haidar ha vinto molti premi internazionali, tra cui il Robert F. Kennedy Human Rights Award 2008, il Civil Courage Prize 2009 e il Right Livelihood Award 2019.

Molte città e comuni italiani, negli anni, le hanno conferito la cittadinanza onoraria, a cominciare da Napoli che è stata la prima, nel 2006.

Questa gracile donna è un grande esempio di forza, tenacia, resistenza e ricerca della giustizia, riconosciuta in tutto il mondo. 


#unadonnalgiorno

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