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Berta Cáceres ambientalista honduregna uccisa per il suo attivismo

Berta Cáceres ambientalista honduregna assassinata per il suo attivismo

Loro hanno paura di noi perché noi non abbiamo paura di loro.

Berta Cáceres, ambientalista honduregna, leader del popolo indigeno Lenca e fondatrice del Consiglio delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH).

Nata il 4 marzo 1971, sin da giovanissima era stata molto attiva nel sociale.

Nel 1993, quando era ancora una studentessa, è stata co-fondatrice del COPINH, un’organizzazione in favore dei diritti umani delle popolazioni indigene Lenca, nel Dipartimento di Intibucá.

Ha diretto diverse campagne su temi come la deforestazione illegale, la proprietà terriera e la presenza di basi statunitensi sui loro territori. Ha condotto numerose battaglie femministe a tutela dei diritti della comunità LGBT+.

Nel 2006 si è trovata a investigare sulla joint venture formatasi tra la compagnia cinese Sinohydro, la Banca Mondiale, l’International Finance Corporation e la DESA, l’Impresa Nazionale di Energia Elettrica, che aveva l’intento di costruire dighe idroelettriche sul fiume Gualcarque.

I costruttori, violando il diritto internazionale, non avevano consultato le popolazioni locali che lamentavano il fatto che le dighe avrebbero messo a repentaglio l’accesso all’acqua, al cibo, alla coltivazione di erbe utilizzate come medicinali e quindi al loro modello di vita.

Berta Cáceres aveva allora organizzato una campagna di protesta dando avvio a un’azione legale per portare il caso di fronte alla Commissione Interamericana dei diritti umani, che, nel 2009 l’ha inclusa nella lista di persone in pericolo di vita durante il colpo di stato in Honduras, chiedendo misure precauzionali in sua difesa.

Dal 2013, ha guidato la comunità locale nelle proteste contro i lavori di costruzione boicottando l’accesso alle zone coinvolte. Dopo numerose minacce e intimidazioni, il 15 luglio 2013, dei militari hanno sparato contro i manifestanti uccidendo un membro del COPINH e ferendone altri tre. 

Alla fine dell’anno, Sinohydro e International Finance Corporation abbandonarono il progetto a causa delle proteste. La DESA decise invece di proseguire modificando il luogo di costruzione del sito e denunciò Berta Cáceres e altre due persone per “usurpazione, coercizione e danni” nei confronti della compagnia accusandola di incitare alla violenza.

In risposta a questi attacchi, Amnesty International e varie altre organizzazioni internazionali fecero appello al governo dell’Honduras affinché smettesse di criminalizzare coloro che difendevano i diritti umani e investigasse sulle minacce da loro ricevute.

Berta Cáceres, nonostante i provvedimenti restrittivi, ha continuato nella sua battaglia senza  lasciarsi intimidire.

Nel 2013 aveva dichiarato:

L’esercito possiede una lista di 18 difensori dei diritti umani da uccidere e il mio è il primo nome. Io voglio vivere perché ci sono ancora tante cose che desidero fare, non ho mai pensato di smettere di combattere per il mio territorio e per una vita dignitosa anche perché la nostra battaglia è legittima. Faccio attenzione alla mia sicurezza personale ma nel mio paese, dove l’impunità è totale, sono vulnerabile. Mi vogliono morta, e alla fine ci riusciranno“.

Nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 è stata assassinata, freddata a colpi di arma da fuoco da persone introdottesi in casa sua che hanno ferito anche il suo ospite, il messicano Gustavo Castro arrivato il giorno precedente per discutere di alternative al progetto idroelettrico.

Per il suo delitto furono fermate otto persone, fra cui alcuni ex militari dell’esercito e addetti della società incaricata della costruzione della centrale idroelettrica.

Nel dicembre 2019, un tribunale dell’Honduras ha emesso la sentenza e una pena detentiva nei confronti di 7 imputati.

Ma, un rapporto di un gruppo di esperti assunto dalla famiglia, indica che un maggior numero di persone potrebbe essere stato a conoscenza o aver partecipato alla pianificazione del crimine. Fino ad oggi, non ci sono stati progressi nelle indagini su altri ritenuti responsabili della pianificazione e dell’ordine dell’uccisione.

È stata ammazzata in casa sua per aver lottato per salvaguardare i suoi territori e la sua popolazione.

#unadonnalgiorno

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