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Lucy Salani

Lucy Salani unica transgender sopravvisuta ai campi di concentramento

Lucy Salani, importante attivista lgbtq+, è stata l’unica donna transgender italiana sopravvissuta alle persecuzioni nazi-fasciste e ai campi di concentramento.

È stata una grande oppositrice della guerra, ha rischiato più volte la vita, ha subito varie incarcerazioni, processi ed è stata condannata a morte.

Nacque col nome di Luciano a Fossano (Cuneo) il 12 agosto 1924, in una famiglia di origine emiliana.

Ha trascorso la sua giovinezza a Bologna durante l’ascesa del fascismo, in un’epoca in cui l’omosessualità era percepita come un crimine sociale punito col carcere e con ogni sorta di angheria e persecuzione. Per il suo orientamento sessuale, venne rifiutata dalla sua stessa famiglia.

Chiamata alle armi nel 1943, pur dichiarandosi omosessuale, venne mandata a combattere, ma disertò dandosi alla clandestinità che abbandonò per salvaguardare i suoi familiari. Venne quindi arrestata ancora dai tedeschi e inviata con l’esercito nazista a Suviana da dove riuscì nuovamente a disertare, buttandosi nell’acqua gelida che le procurò una polmonite, ma scappò anche dall’ospedale in cui era ricoverata.

Ha vissuto per qualche mese a Bologna in clandestinità, per mantenersi si prostituiva. Durante una retata venne fermata dalla polizia che, scoprendo la sua diserzione, la tenne rinchiusa nella cantina di un casolare nei pressi di Padova, dalla quale era riuscita a scappare, ma poco dopo venne di nuovo catturata a Mirandola. Dopo una permanenza nelle carcere di Bologna e Modena, venne processata a Verona e condannata a morte. La pena venne tramutata in lavori forzati in un campo di lavoro a Bernau, da cui era scappata. Ma al confine tra Austria e Italia, venne scoperta e deportata nel campo di concentramento di Dachau dove è riuscita a sopravvivere fino alla liberazione da parte delle truppe americane, che l’hanno trovata in mezzo ai cadaveri, era stata, infatti, fucilata dai tedeschi e colpita a una gamba prima di svenire ed essere considerata morta.

Dopo la guerra ha vissuto tra Roma e Torino, tra un lavoro come tappezziera e l’avanspettacolo, mantenendosi essenzialmente con la prostituzione, realtà che aveva conosciuto sin dall’adolescenza e che ha sempre rivendicato come un dato di fatto nella sua esistenza da donna trans.

Nei primi anni ottanta, a Londra, si è sottoposta a un’operazione di riattribuzione del sesso senza rinunciare al suo nome.

Rientrata a Bologna, vi ha trascorso il resto della sua vita, militando col Movimento Identità Trans che l’ha supportata quando è caduta in una condizione di estrema indigenza.

I ricordi della detenzione l’hanno tormentata per tutta la vita, facendola svegliare di soprassalto la notte anche a distanza di anni. Nei suoi incubi vedeva, forse, le centinaia di cadaveri che aveva dovuto trasportare verso i forni crematori, alcuni dei quali, raccontava, a volte le sembrava si muovessero ancora.

Ha lasciato la terra il 22 marzo 2023, aveva 98 anni.

La storia di Lucy Salani è diventata nota grazie alla biografia scritta da Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, pubblicata nel 2009 che, due anni più tardi, è diventata anche un documentario dal titolo Essere Lucy.

Nel 2014 il regista Gianni Amelio l’ha intervistata  nel documentario Felice chi è diverso.

Nel 2021 è uscito il film documentario sulla sua vita C’è un soffio di vita soltanto preso da un verso di una poesia scritta da lei.

Lucy Salani ha subito discriminazione, stigma, umiliazioni, patimenti e avuto sempre il coraggio di schierarsi dalla parte più scomoda della storia, l’unica a cui sentiva di appartenere.

Quasi un secolo di esistenza in cui ha valicato i confini dell’ordinario diventando un imponente simbolo di resistenza.

 

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