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Rosa Balistreri. La voce della Sicilia

Rosa Balistreri

Rosa Balistreri, cantautrice siciliana che ha lottato in prima linea contro le mafie e a favore dell’emancipazione femminile nel Mezzogiorno.

Una vita travagliata, segnata da esperienze che hanno lasciato l’impronta nella sua musica e eredità culturale.

Una donna che ha vissuto di canzoni, di fame, di botte e sogni mai realizzati.

Rosa Balistreri è nata il il 21 marzo 1927 a Licata, in provincia di Agrigento, da una famiglia molto povera. Visse infanzia e giovinezza tra miseria e degrado sociale. Figlia di un falegname geloso e violento, fin da bambina, era costretta a lavorare, ha fatto la domestica, lavorava nella conservazione del pesce e d’estate, andava a spigolare.

Nella sua musica riversava lo sfogo per ciò che non amava, la sua disperazione ma anche la speranza.

Con la sua voce roca e profonda, trovò il mezzo per trasmettere la sua vita sventurata. A quindici anni indossò il suo primo paio di scarpe e cominciò a cantare in chiesa per le cerimonie.

A sedici, fu costretta a sposare Iachinazzo, che in seguito definì “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”, “ladro, giocatore e ubriacone”. Quando questi perse al gioco il corredo della figlia, Rosa lo aggredì con un coltello e, credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi ai carabinieri, affrontando sei mesi di detenzione.
Tornata in libertà, per mantenere se stessa e la figlia, iniziò a raccogliere e vendere lumache, capperi e fichi d’india per le strade della Marina di Licata.
Quando le si presentò l’opportunità di recarsi a Palermo, al servizio di una famiglia nobile, venne messa incinta dal figlio dei padroni e da questi spinta a rubare nella casa dove lavorava. Per questo venne arrestata e passò altri 7 mesi in prigione.

Nonostante fosse incinta, fu costretta a vivere per strada, fino a quando non fu accolta da un’amica ostetrica che la aiutò a partorire un bambino morto. Sistemò la figlia in collegio a Palermo e imparò finalmente a leggere e scrivere. Visse come sagrestana in un sottoscala, insieme a suo fratello Vincenzo, che faceva il calzolaio.

Quando il prete tentò di abusare di lei, Rosa svuotò le cassette dell’elemosina, comprò due biglietti ferroviari e scappò col fratello a Firenze, dove visse per i successivi vent’anni. Lui aprì una bottega di calzolaio e lei trovò lavoro al servizio di una famiglia. Poco dopo vennero raggiunti da Maria, loro sorella, che scappava da un marito violento che però la trovò e uccise. A seguito di questa tragedia il padre di Rosa si impiccò.

Grazie al suo incontro col pittore Manfredi Lombardo, con cui visse per dodici anni, Rosa Balistreri ebbe la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell’arte. Tra questi c’era Mario de Micheli che, incantato dalla sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco.

Prese lezioni di chitarra, cominciò a partecipare alla composizione dei testi e delle musiche delle sue canzoni. Presero vita, così, canzoni contro la mafia, sull’emigrazione e sul duro lavoro di contadini, minatori e jurnatari, cioè i lavoratori a giornata.

Con le sue canzoni si entra nella terra arida di Sicilia, nei campi assolati, nell’oscurità delle miniere di zolfo, nella solitudine e nel dolore dei carcerati, nella nostalgia degli emigranti, c’è l’esaltazione e l’amore per la terra, per i piccoli, per le tradizioni religiose, si sublima nella speranza, nella certezza di una giustizia sociale, che rispetti donne e  lavoratori.

“Adesso ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie”.

Per circa 20 anni visse a Firenze, poi si trasferì a Palermo. Quando Manfredi la lasciò  per una modella, cadde in depressione, tentò il suicidio. Ma aveva una figlia da mantenere e allora si fece forza, cantava alle feste dell’Unità, recitò nel Teatro Stabile di Catania.

Nel 1966 e nel 1969 partecipò alle prime due edizioni dello spettacolo Ci ragiono e canto per la regia di Dario Fo.

Nel 1973 fu al Festival di Sanremo con la canzone in italiano Terra che non senti, ma venne esclusa, perché il testo non era inedito. Per protesta, organizzò un controfestival e se ne andò in giro a cantare con la sua chitarra, creando lo scompiglio in un mercato, acclamata da tanti emigrati del sud che accorsero a applaudirla.

Nel 1974 partecipò assieme a un’edizione di Canzonissima.

Stabilitasi definitivamente a Palermo, proseguì la sua attività recitando e cantando al Teatro Biondo in La ballata del sale, spettacolo scritto per lei da Salvo Licata.

Il 1987 fu la sua ultima stagione artistica come attrice teatrale ma come cantautrice continuò a girare per il mondo: Svezia, Germania, America.

Tornò a Licata un anno prima di morire. Si è spenta a Palermo, il 20 settembre del 1990, colpita da un ictus cerebrale.

Rosa Balistreri ha saputo superare tanti ostacoli, senza mezzi, senza aiuto, senza cultura. Forte e coraggiosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, veniva direttamente dal cuore dalla terra arsa della Sicilia.

Ho imparato a leggere a 32 anni. Dall’età di sedici anni vivo da sola. Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi, gli onesti avranno un po’ di pace terrena.

#unadonnalgiorno

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