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Tamara Chikunova contro la pena di morte

Tamara Chikunova
Io una piccola donna sconfitta, lavoravo per far vincere la vita.
Tamara Chikunova è diventata un’attivista per i diritti umani dopo la fucilazione di suo figlio nel 2000.
Ha fondato l’associazione Madri contro la pena di morte e la tortura e girato il mondo raccontando la sua storia, l’esecuzione immotivata del suo ragazzo, propugnando la tutela dei diritti civili e dell’umanizzazione delle carceri, soprattutto nei paesi in cui vigeva la pena di morte.
Nel 1999, in Uzbekistan, alcuni attentati terroristici avevano portato a misure restrittive e all’arresto di centinaia di attivisti dell’opposizione, costretta a agire in clandestinità. L’intimidazione e l’imprigionamento arbitrario di centinaia di dissidenti politici divennero normali strumenti di dissuasione.
È stato in questo clima che Dmitrij Chikunov, l’unico figlio di Tamara venne arrestato il 17 aprile 1999. Aveva 28 anni, viveva a Tashkent. Fermato per normali controlli non è più uscito dal carcere.
Sua madre si era recata spesso al posto di polizia per chiedere informazioni e cercare di capire il motivo della detenzione. Come risultato venne interrogata per ore e picchiata.
Dopo sei mesi di totale assenza di notizie riuscì finalmente a vedere suo figlio in carcere. Il ragazzo era distrutto emotivamente e fisicamente per le torture subite, ma continuava a dichiararsi innocente. Raccontava di aver rifiutato di firmare una confessione fasulla per un omicidio mai commesso e, per questo, veniva continuamente torturato. Alla fine, ha ceduto, quando gli hanno fatto ascoltare le urla di disperazione e di dolore della madre picchiata durante il suo interrogatorio.
Così Dmitrij, per salvare sua madre, aveva firmato la sua condanna a morte, eseguita nel carcere di Tashkent il 10 luglio del 2000.
La donna non venne avvertita dell’esecuzione e non le fu neppure restituito il corpo del figlio per la sepoltura. Era uso comune per non mostrare i segni delle torture inferte ai detenuti.
Forte del suo dolore e disperazione, Tamara Chikunova si è fatta carico dell’ingiustizia subita dal figlio e ha continuato a battersi fino a quando, nel 2005, è riuscita a ottenere la riabilitazione postuma di Dmitrij.
Un giudice ha ammesso che quel processo non era stato giusto e che il ragazzo non era colpevole.
Ma anche dopo la vittoria in tribunale,  la donna ha continuato la sua battaglia per evitare che si ripetessero altri casi simili e ha fondato l’associazione Madri contro la pena di morte e la tortura.

Grazie al suo impegno incessante e instancabile, è riuscita a salvare 23 prigionieri dalla condanna a morte. 

Nel settembre 2003, ha inaugurato una campagna mediatica per l’ottenimento di una moratoria sulla pena di morte nel suo paese, diffondendo un appello con una sottoscrizione mondiale: le adesioni sono state migliaia in poche settimane. La mobilitazione sarebbe dovuta culminare in una conferenza a Tashkent il 5 dicembre 2003, ma è stata impedita dal governo con scuse pretestuose. Gli interventi delle diplomazie europee per la creazione di una rete di attenzione internazionale e sostegno locale si sono rivelati decisivi perché l’associazione potesse proseguire il suo lavoro.
Tamara Chikunova ha ricevuto la Colomba d’Oro e il Premio Norimberga per la sua strenua battaglia civile.

Questa donna tenace e coraggiosa è riuscita, grazie anche al supporto di diverse organizzazioni internazionali, a ottenere l’abolizione della pena capitale in Uzbekistan dal 1 gennaio 2008. Ogni anno nel paese venivano eseguite più di 200 condanne. 

 Ha esportato le sue lotte anche in Kyrgyzstan, Kazakistan e Mongolia. Negli ultimi tempi si stava interessando al caso della Bielorussia, unico paese in Europa dove è ancora in vigore la pena di morte.
Era stata nominata Delegata del Consiglio d’Europa per la questione della pena capitale in Bielorussia.
Ma la morte l’ha colta il 31 marzo 2021 a Novara, dove risiedeva da quando aveva dovuto lasciare l’Uzbekistan per le continue minacce alla sua incolumità.
Le Madri contro la Pena di Morte e la Tortura non hanno portato avanti soltanto campagne d’informazione, ma anche agito concretamente al fianco dei detenuti in attesa dell’esecuzione.

Tamara Chikunova negli anni del suo attivismo ha subito intimidazioni, è stata chiamata “la madre dell’assassino”, accusata di favoreggiamento della prostituzione, di essere una terrorista musulmana, più volte ha ricevuto minacce di morte da agenti di polizia e da ignoti. Ciononostante, ha proseguito impassibile la sua battaglia contro la pena capitale senza mai retrocedere affinché altre mamme non avessero dovuto subire quello che era successo a lei.

#unadonnalgiorno

 

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