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Eleonora de Fonseca Pimentel rivoluzionaria partenopea

Eleonora de Fonseca Pimentel rivoluzionaria napoletana

Eleonora de Fonseca Pimentel è stata una patriota, politica e giornalista italiana. Una delle figure più importanti della Repubblica Napoletana del 1799. Carattere forte e combattivo, nelle sue vicissitudini personali e politiche, è stata una donna più vicina al presente attuale piuttosto che al suo tempo.

Eleonora era nata a Roma il 13 gennaio 1752 da Clemente e Caterina Lopez de Leon, di origini portoghesi che ben presto si spostarono a Napoli, dove crebbe e trascorse tutta la sua vita. Visse tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, sentendosi parte di un popolo assoggettato a una monarchia troppo occupata a preservare gli interessi dell’aristocrazia piuttosto che a migliorare le condizioni dei meno abbienti, garantendo loro almeno un grado elementare di istruzione e la possibilità di una vita più decorosa.

Fin da ragazzina ebbe la fortuna di poter studiare alimentando una curiosità intellettuale vivida e brillante. La sua prima formazione culturale venne affidata a suo zio abate, l’itinerario elettivo che ella, nei primi anni della sua giovinezza, percorse fu quello colto, illuminato, cosmopolita che offriva la Napoli della seconda metà del XVIII secolo. Conosceva l’italiano, il portoghese, il francese e l’inglese. Prese lezioni di greco, latino e storia antica, recitava eleganti versi e altre poesie composte da lei, era molto portata per le scienze. Poco più che adolescente si era già fatta conoscere a corte per le sue doti di poetessa e in seguito di bibliotecaria.
Molto incline alle lettere, sin da giovane compose versi arcadici molto apprezzati che la proiettarono fra i personaggi più noti degli ambienti culturali della Napoli del ‘700. La frequentazione degli ambienti letterari aveva favorito la conoscenza con gli intellettuali riformisti che guardavano con ammirazione gli eventi rivoluzionari francesi.

Intrattenne intensi rapporti epistolari con Pietro Metastasio e con Voltaire, fu nell’Accademia dei Filateti e in quella dell’Arcadia.

Nel 1778 i Fonseca divennero a tutti gli effetti sudditi del Regno e, con regio decreto, venne loro riconosciuta la nobiltà portoghese. Nello stesso anno, Eleonora sposò l’ufficiale e nobile napoletano Pasquale Tria de Solis. Una storia devastante, fatta di violenza domestica, incomprensioni, la morte dell’unico figlio a otto mesi, gli aborti provocati dalle percosse di lui e gli squallidi tradimenti del marito, contribuirono ad alimentare in lei un dirompente desiderio di libertà, che la condusse a scelte scandalose per una donna di quel tempo, come la separazione che socialmente rappresentava una ignominia.

Nonostante le enormi difficoltà a sopravvivere, crebbe sempre più intensamente l’interesse per la politica fino ad aderire attivamente alle idee repubblicane e giacobine.

Alla fine del XVIII secolo a Napoli convivevano classi sociali ben distinte: da una parte la nobiltà oziosa che consumava la sua vita agiata tra vita di corte e affari redditizi, dall’altra il popolo, laborioso, che viveva dello stretto necessario senza velleità. Poi c’era la plebe, i “lazzari”, un esercito di nullatenenti che sopravvivevano con piccoli espedienti quotidiani ed elemosine. A latere cresceva una nuova classe, la borghesia, e con essa gli intellettuali il cui pensiero riformista e lungimirante puntava ad orizzonti nuovi e rivoluzionari. Furono quegli gli anni della “Scienza della Legislazione” di Gaetano Filangieri e della prima cattedra di Economia Politica di Antonio Genovesi.

Eleonora, imbevuta di questi insegnamenti, apparteneva alla borghesia “illuminata”, anche se i de Fonseca Pimentel si fregiavano del titolo nobiliare di marchesi, ma le loro condizioni economiche, erano troppo modeste e ben lontane dagli sfarzi tipici dell’aristocrazia napoletana.

Sotto i colpi della rivoluzione francese, le sue conseguenze e l’avanzata napoleonica crollarono i pilastri di monarchie secolari.
Nella prima metà del ‘700 il regno illuminato di Carlo di Borbone aveva restituito alla capitale del Mezzogiorno d’Italia un’immagine prestigiosa. Tra riforme sociali e ambiziosi progetti edilizi, Napoli aveva guadagnato un ruolo da protagonista a livello europeo. Ma l’erede al trono Ferdinando IV, non ebbe le stesse capacità del padre nel proseguire l’ammodernamento dello Stato, e intimorito dalla minaccia dei francesi rivoluzionari, adottò una politica oscurantista e reazionaria. Del resto Maria Antonietta, la regina di Francia decapitata nel 1793, era la sorella di Maria Carolina la regina di Napoli. Gli intellettuali napoletani, che in tempi non sospetti avevano frequentato la corte borbonica nella speranza di veder attuate riforme politico-sociali, cominciarono a essere considerati delle “serpi in seno”, potenziali cospiratori filo-francesi entrando nel novero degli inquisiti.

Profondamente delusa dalla politica reazionaria dei Borbone, anche Eleonora de Fonseca Pimentel finì nella lista dei congiurati.

Per il suo attivismo politico venne arrestata nell’ottobre del 1798 ma, con l’arrivo a Napoli dei francesi, tre mesi dopo riconquistò la libertà.

Durante la breve ma esaltante esperienza della Repubblica Napoletana a cui Eleonora aveva dato l’anima, fu la prima donna a dirigere un giornale politico, il Monitore Napoletano, da febbraio a giugno del 1799, scritto quasi interamente da lei. E fu proprio quel foglio a determinare la sua condanna a morte, col ritorno dei Borbone. Fu il primo giornale a proporre l’editoriale, poi adottato da tutte le altre testate.

La Repubblica Napoletana fu un sogno che finì all’alba. Durò appena sei mesi.

L’azione combinata dal cardinale Ruffo e dall’ammiraglio Horatio Nelson, l’uno da terra e l’altro dal mare costrinsero, il 13 giugno 1799, i francesi all’abbandono della città. I repubblicani napoletani tentarono di resistere ma, data la sproporzione di forze in campo, dopo qualche giorno si arresero dietro l’impegno della loro incolumità. Ma Nelson non rispettò i termini dell’accordo e, facendosi mano armata di Ferdinando IV, gli consegnò i capi giacobini. Fu un massacro.

Il popolo era rimasto fedele al suo re che, il 24 dicembre del 1798, impaurito dall’arrivo dei francesi lo aveva abbandonato scappando a Palermo con tutta la corte. Si fece massacrare dai “liberatori” d’Oltralpe pur di difendere il Regno, ma anche per crogiolarsi in una sfrenata anarchia che consentì agli istinti più primordiali di sprigionarsi in tutta la loro ferocia ammazzando e saccheggiando le case dei sospetti giacobini.

Per le masse analfabete era praticamente impossibile comprendere i valori profondi di una democrazia e le responsabilità che la libertà comporta. E la Repubblica non ebbe il tempo di educare quella plebe a diventare popolo. Consapevole dell’abisso che intercorreva tra gli intellettuali e le masse, Eleonora propose di scrivere e rivolgersi a loro in lingua napoletana, una parte del clero si adoperò a spiegare nelle chiese e sotto gli alberi della libertà il catechismo repubblicano, ricordando che era stato per primo Gesù a parlare di uguaglianza, ma tutto questo non bastò. Refrattarie e superstiziose le masse si scagliarono inferocite finanche contro San Gennaro che aveva osato fare il miracolo in presenza del generale francese Championnet e degenerarono fino a terrificanti scene di cannibalismo.

Processata dalla giunta di Stato, la marchesa di Pimentel venne condannata a morte. Umiliata fino all’ultimo istante, non le venne riservata la ghigliottina come ai nobili e fu impiccata, il 20 agosto 1799, nella piazza del Mercato, a soli 47 anni. 

La sua ultima frase fu: «Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo».

#unadonnalgiorno

Napoli vide morire sul patibolo la sua migliore intellighenzia.

 

 

 

 

 

 

 

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