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Fran Lebowitz

Fran Lebowitz

Se sentite l’urgenza cocente di scrivere o dipingere, limitatevi semplicemente a mangiare qualcosa di dolce: vedrete che la sensazione svanirà. La storia della vostra vita non è materiale per un buon libro. Non ci provate nemmeno.

Fran Lebowitz, irresistibile maitresse-à-penser newyorkese simbolo di un umorismo cinico e irriverente. Scrittrice inattiva, intellettuale ebrea e omosessuale, comica e opinionista, lettrice onnivora, possiede oltre 10.000 libri nella sua enorme casa molto al di sopra delle sue possibilità economiche, testimone oculare di una New York che non c’è più. È un’icona di stile al di sopra di qualsiasi tendenza, tabagista impenitente, attrice occasionale (la ricordiamo nella parte del giudice in Wolf of Wall Street).

Nata a Morristown, New Jersey, il 27 ottobre 1950 da una coppia di ebrei russi immigrati, appena maggiorenne si trasferisce a New York. Per mantenersi fa tantissimi lavori, pulizie negli alberghi, venditrice ambulante, è l’unica donna a guidare un taxi nella città dei primi ’70 e per questo emarginata e guardata con sospetto dai colleghi.

A 21 anni comincia la sua collaborazione, durata 11 anni, nella redazione di Interview il giornale di Andy Warhol, col quale non è andata mai d’accordo, ma “è andata meglio dopo la sua morte”.

Da principio scrive solo recensioni di bad movies in una rubrica che intitola Best of the Worst.

Donna libera e geniale, Fran Lebowitz, ha fatto della schiettezza il suo tratto distintivo. Irresistibile scrittrice e umorista, i suoi libri più importanti sono Metropolitan Life, del 1978, e Social Studies del 1981. Si tratta di raccolte di saggi usciti sui magazine con i quali collaborava dove si è formato il suo stile caustico, spudorato e politicamente scorretto che l’ha resa un personaggio pubblico.

L’ultimo libro che ha dato alle stampe risale al 1994 ed è il suo primo e unico testo per bambini, Mr. Chas and Lisa Sue Meet the Pandas, tradotto in italiano con il titolo Due panda a New York.

Da 40 anni gira l’America tra show e apparizioni televisive, del far ridere ne ha fatto una professione. Ha da ridire su tutto e tutti, niente si salva nella sua dissacrante comicità.

Attiva nel movimento LGBTQ fin dalle origini è stata  sostenitrice del movimento #metoo.

Il regista Martin Scorsese ha girato due opere sulla sua figura, il film La parola a Fran Lebowitz del 2010 e la docuserie Fran Lebowitz – Una vita a New York  uscita su Netflix nel 2021 e dedicata a Toni Morrison, sua grande amica. Una piccola gemma di idiosincrasia e ironia affilata che cela il suo rifiuto garbato della contemporaneità.

Ebrea newyorkese, lesbica, mai laureatasi e sempre in bolletta, è una donna libera, che non fa nulla per piacere agli altri.

La sua prima grande qualità è riuscire a condensare mondi in una riga o una battuta.

Nel 2021 è uscita una raccolta di suoi scritti per la prima volta tradotti in italiano, La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire.

Lo spirito anticonformista e antimoralistico di Fran Lebowitz è merce rara. Rifiuta orgogliosamente di arrendersi a smartphone e social network, ama i bambini perché sono “i migliori avversari che si possano desiderare a Scarabeo” e non tollera le eccentricità alto borghesi, le performance dell’arte contemporanea, la cucina, il traffico, il cinema, la gente in generale.

In Fran Lebowitz corpo, gesti, voce, abiti e parole non sono scindibili. In una sorta di performance del quotidiano evoca Oscar Wilde alla precisa ricerca di una genealogia della soggettività queer e dandy: dal taglio di capelli, al colletto e ai polsini coi gemelli della camicia, che spuntano oltre la giacca dal taglio maschile.

Accusata da più di cinquant’anni di connivenza con le élite, in realtà con le sue battute tranchant riesce, da sempre, a far incazzare anche i più raffinati intellettuali.

Questa donna è un concentrato di sagacia, ironia, irriverenza e libertà nel raffinato stile personale e il look androgino e snob che la contraddistingue.

La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire. Pertanto, ciò che chiamiamo civiltà sono solo i resti accumulati di un numero agghiacciante di nottatacce.

#unadonnalgiorno

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