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Il continuo body shaming verso Giovanna Botteri

Giovanna Botteri, inviata italiana in Cina

Non posso esimermi dal parlare dell’accanito body shaming verso Giovanna Botteri, la giornalista che è l’inviata italiana nell’epicentro della pandemia in Cina. Un incarico che, per inciso, poche altre persone avrebbero accettato.

I suoi collegamenti quotidiani dalla zona che è stata più a rischio nell’ultimo periodo, tenuti in maniera sobria, quasi scarna, vestita in maniera essenziale, senza l’intervento del parrucchiere, le hanno scatenato addosso le peggiori illazioni da parte di migliaia di persone, forse abituate a vedere le luci bianche sparate in faccia a conduttrici che, incuranti delle norme di sicurezza, non rinunciano  a trucco e parrucco, neppure in tempo di pandemia.

Giovanna Botteri, invece di essere criticata per il suo lavoro, viene criticata per come si veste e per come porta i capelli.

Ma cerchiamo di capire chi è questa giornalista nata a Trieste il 14 giugno 1957, una laurea in Filosofia e un dottorato alla Sorbonne di Parigi.

Botteri lavora per la RAI dal 1985 e nella redazione esteri del TG3 dal 1988. Come inviata speciale ha seguito tanti importanti avvenimenti internazionali: nel 1991 il crollo dell’Unione Sovietica e l’inizio della guerra d’indipendenza in Croazia, dal 1992 al 1996 la guerra in Bosnia e l’assedio a Sarajevo dove ha filmato l’incendio della Biblioteca Nazionale, la strage del pane, il massacro di Markale e il massacro di Srebrenica.

È stata in Algeria, Sudafrica, Iran e Albania, dove ha seguito la ribellione a Valona nel 1997, per poi documentare la guerra in Kosovo ed entrare a Peć assieme all’esercito italiano nel 1999. 

Dopo aver seguito il G8 di Genova nel 2001, è stata in Afghanistan fino al rovesciamento del regime talebano e, come inviata di TG2 e TG3, in Iraq prima e durante la seconda guerra del golfo. Nell’ottobre 2002 ha seguito le ispezioni ONU alle prigioni e, assieme a Guido Cravero, ha filmato in esclusiva mondiale sia l’inizio dei bombardamenti su Baghdad il 20 marzo 2003, sia l’arrivo dei carri armati statunitensi il 9 aprile.

Dal 2004 al 2006 ha condotto l’edizione delle 19 del TG3, dal 2007 al 2019 è stata corrispondente dagli Stati Uniti. Dal primo agosto 2019 è corrispondente Rai in Cina. Da fine dicembre 2019 si occupa, sempre come inviata dalla Cina, dell’epidemia nota come COVID-19, causata dal virus 2019-nCoV.

Eppure un curriculum da far impallidire chiunque e l’aver dimostrato di essere professioniste instancabili, serie, senza fronzoli, preparate, a quanto pare non basta. Non basta se sei donna, perché devi confrontarti col pregiudizio e perderti in discorsi cretini su abbigliamento e coiffeur per rispondere alle critiche ormai quotidiane.

Qui siamo sette ore avanti ma io vivo basandomi sul fuso orario perché lavoro sui tempi italiani, ho tantissime dirette e non ho alternative. Dormo quando posso, quelle 5 o 6 ore appena le trasmissioni finiscono. Non ho vita sociale e nei ritagli di tempo faccio la spesa, leggo i giornali e sto al telefono con mia figlia Sara. La solitudine è abbastanza forte ma cerco di non pensarci. “Lavoro come una dannata, corro, non ho tempo né voglia di pensare all’abito, ho comprato uno stock di maglie di diversi colori, le lavo e le rimetto. Tranquilli perché le cambio ogni giorno. Mi lavo i capelli, non mi interessa perdere tempo a farmi la messa in piega o a truccarmi, sono una donna normale. Faccio giornalismo non spettacolo.

A parte qualche battuta, finora non mi ci è mai capitato di leggere critiche e sarcasmo quotidiano su giornalisti, intellettuali o esperti maschi (che sono vecchi, che appaiono stanchi, che hanno l’abito sgualcito) notizie simili ci farebbero ridere, specie se accostate a una persona che lavora con tenacia 12 ore e più al giorno lontana dai suoi affetti. E invece si creano pagine per bersagliare incessantemente l’aspetto di Giovanna Botteri.

Eppure la corrispondente non sta a una sfilata, il suo lavoro non è un gioco e le occhiaie sono il segno di mancanza di riposo pur di fare bene il proprio lavoro.

Una battuta una tantum ci può stare, ma il body shaming continuo è quantomeno inaccettabile. Come al solito e ancora, una donna prima di essere valutata per la sua bravura sembra debba preoccuparsi del suo aspetto estetico.

Lei stessa, in un’intervista sostiene:

A Pechino gli stranieri vivono tutti in aree particolari dove ci sono anche le ambasciate e gli uffici, oltre alle residenze, ma nessun negozio. Sono zone chiuse con le guardie che presidiano gli ingressi. Si entra solo con un pass. Ci sono sempre stati questi controlli ma ora molte entrate sono state chiuse, hanno aumentato i controlli e ti prendono la temperatura. Tranne noi stranieri, nessuno può entrare, nemmeno per consegnare i giornali. Per un periodo è stato difficile andare a girare. Di solito facciamo i servizi da qui e per le immagini che non riusciamo ad avere ci sono le agenzie di video. Prima di fare le riprese dobbiamo chiedere le autorizzazioni all’ufficio competente: devi programmare tutto.

L’unica cosa che ho fatto sempre è stata scrivere. In Francia ho iniziato a mandare articoli ai giornali locali e i primi programmi da precaria. Poi sono arrivata a Roma, nella Raitre di Sandro Curzi e Angelo Guglielmi, quando si sperimentava una tv diversa. Essendo di Trieste, Curzi mi ha mandato a seguire la guerra in Jugoslavia. Mi ha detto: “Vai e racconta quello che vedi”. Così ho iniziato e poi ho continuato: Iraq, Afghanistan, Algeria, Kosovo. Per fortuna ho riportato sempre a casa la pelle! Durante la guerra hai paura di morire, soprattutto negli anni in cui la mia bimba era piccola. Certe volte quando sei sulla linea del fuoco temi di oltrepassarla, devi avvicinarti il più possibile per raccontare il cuore del conflitto, ma allo stesso tempo devi capire quando fermarti, prima che sia troppo tardi. Questo concetto vale per tante cose, anche personali.

Questa è una guerra insidiosa perché non vedi il nemico, non sai da dove potrebbe arrivare e fa ancora più paura. Come in tutte le guerre, ti sostiene pensare che finirà e che non devi mai permettere al tuo lato più “bestiale” di emergere. Devi rimanere la persona di prima. Nei momenti difficili le relazioni forti si rinsaldano, altre si perdono, capisci quali sono le cose importanti. Non dai più niente per scontato.

Faccio giornalismo, non spettacolo.

Sono quasi un’asociale, per niente mondana e queste “attenzioni” mi imbarazzano. Quando mi dicono che passo su “Striscia” non ci dormo la notte. Sono io che devo raccontare, non diventare l’oggetto del racconto.

Chi dovrebbe vergognarsi e non dormire la notte, dovrebbero essere i detrattori e le detrattrici di una professionista che, senza perdersi in fronzoli, sta rischiando ogni giorno in nome dell’informazione.

#unadonnalgiorno

 

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