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Il teatro piange Cristina Pezzoli

Cristina Pezzoli regista

Il mondo del teatro piange la scomparsa di Cristina Pezzoli, regista, che ci ha lasciato il 22 maggio a soli 57 anni.

Originaria di Vigevano (Pavia) nel 2002 si era trasferita a Pistoia, città che non ha più lasciato, per assumere la direzione artistica del teatro Manzoni. Un’esperienza durata fino al 2005.

Cristina Pezzoli si era avvicinata da giovane al mondo del teatro partecipando, appena 19enne, a uno stage di Dario Fo. Diplomata nel 1986 in regia alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano, ha firmato regie di spettacoli teatrali, celebre la sua rilettura di ‘Filumena Marturano’ di Eduardo De Filippo e ‘L’Attesa’, ma anche di opere liriche e televisive.

Aveva ricevuto il Premio Hystrio alla regia per l’anno 2000 con la motivazione: «Una perspicua attitudine a leggere i testi fuori dagli schemi della routine di palcoscenico, per coglierne le vibrazioni poetiche e le intenzioni sottotestuali; un equilibrio fra tradizione e ricerca che poggia su una solida cultura teatrale e su un’attenzione vigile alla società, oltre a una sicura direzione degli attori che a lei si sono affidati e si affidano, sono le qualità del suo lavoro, che ha affrontato sia i grandi classici, sia i maestri del secolo, e autori contemporanei. In una concezione del suo ruolo che, nel rispetto dei valori dei testi, ritrasforma l’atto teatrale in comunicazione intensa.

Una donna molto colta, carattere volitivo e  forte personalità con una grande passione civile. Recentemente aveva trasferito il suo lavoro a Prato, in un capannone dismesso, dove aveva dato vita al centro culturale Compost che promuoveva, attraverso il teatro, l’integrazione con la comunità cinese.

Lo Spazio Compost, completamente autofinanziato, è nato nel 2009 come progetto di ricerca, per ridare alla cultura e al teatro un rapporto concreto con le problematiche sociali a Prato, città definita da Cristina Pezzoli un piccolo bonsai del mondo, ricca di etnie, una città che brucia, che ha dei conflitti, che lotta per cercare di diventare qualcosa.

Abbiamo sempre lavorato sull’idea di non prendere sempre il punto di vista pro-italiani o pro-cinesi, piuttosto il punto di vista della tragedia greca, ovvero prendere le ragioni del conflitto e di tutte le parti in gioco che hanno le loro ragioni, il problema è trovare delle soluzioni creative nascere dall’assumere che il tuo nemico, il tuo avversario possa avere ragione a pensare come la pensa e agire come agisce, quindi noi abbiamo cercato di provare a smontare le posizioni identitarie e fare si che le persone ascoltassero: “perché un cinese lavora 18 ore al giorno?”, “perché un italiano invece pensa che sia giusto che i lavoratori abbiano più diritti?”. Un concetto basato sull’ascolto e sulla conoscenza.
Sul piano complessivo sociale della città, bisognerebbe ampliare e aggiungere molte più persone, ma a quel punto dovrebbe intervenire la politica, il nostro compito non è cambiare la realtà completamente, ma attraverso la cultura far riaffiorare certe dinamiche e poi chi ha il compito deve agire e attuari azioni concrete che poi serviranno per modificare dei comportamenti.

Recentemente aveva firmato la regia di Calendar Girls, una divertente commedia ispirata a un fatto realmente accaduto in Inghilterra alla fine degli anni Novanta. Un gruppo di donne fra i 50 e i 60 anni, iscritte a un’organizzazione di volontariato nel Regno Unito, si impegna in una raccolta fondi destinati a un ospedale nel quale è morto di leucemia il marito di una di loro. Stanche di vecchie e fallimentari iniziative di beneficenza, trovano un’idea geniale: fare un calendario che le vede ritratte nude mentre svolgono normali attività domestiche, come preparare dolci e allestire composizioni floreali. L’iniziativa fa scalpore, non solo perché le modelle sono atipiche, ma anche perché il set è la sala parrocchiale.

Calendar Girls è una risata in faccia alla morte, è la vitalità dei girasoli che cercano la luce opponendosi al buio dello sparire. Il nudo di donne che non sono modelle da calendario Pirelli ma con i corpi veri e imperfetti delle donne non photoshoppate, è una delle scene più divertenti e più complesse da realizzare. Donne che allegramente si spogliano per una buona causa, ma anche per divertirsi, per riconoscersi ancora belle e seducenti, anche al di fuori dei rigidi canoni della perfezione e dell’eterna giovinezza. Con coraggio e ironia le Girls si offrono allo sguardo della macchina fotografica e del pubblico per dirci che le stagioni della vita possono continuare a sorprendere.

Cristina Pezzoli è stata una donna che amava le donne, importanti le sue rassegne che ospitavano nomi di direttrici giovani e talentuose, a cui troppo spesso non viene dato il giusto spazio; regista generosa con attori e attrici. Lascia un grande vuoto in un ambiente, come quello teatrale, in cui le registe sono ancora troppo poche e ancor meno quelle riconosciute e gratificate.

#unadonnalgiorno

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