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Jane Fonda una vita tra cinema e attivismo

Jane Fonda, attrice e attivista

Jane Fonda è un’attrice, scrittrice, produttrice e attivista statunitense.

Un esempio di vita, di attaccamento al lavoro e ai valori. Nella sua storia idealismo, attivismo e impegno sono declinabili in ogni possibile sfaccettatura.

Sette nomination ai Premi Oscar, di cui due vinti come miglior attrice protagonista. Ha vinto sei Golden Globe, due BAFTA, un Emmy e un David di Donatello. Nel 2017 le è stato assegnato il Leone d’oro alla carriera alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Jane Fonda è nata il 21 dicembre 1937 a New York. È un’attrice che ha attraversato molte carriere e che sotto l’abbacinante patina di perfezione hollywoodiana ha nascosto indicibili fragilità familiari, dal dolore per la malattia e il suicidio della madre, Frances Seymour Brokaw, quando aveva soltanto 12 anni, a quello per la distanza dal padre Henry, icona pubblica dell’eroe americano e del buon padre di famiglia, ma in realtà nel privato genitore freddo e distante.

Frequentò l’Actors Studio di Lee Strasberg; il debutto cinematografico arrivò a 23 anni, nel 1960, con In punta di piedi di Joshua Logan, accanto a Anthony Perkins. Negli anni sessanta recitò in numerosi e importanti film, accanto ai più importanti attori e attrici del tempo. Nel 1965 sposò il regista Roger Vadim che la diresse in alcuni film che contribuirono a aumentarne la popolarità, rendendola un sex symbol col film Barbarella del 1968. Etichetta che ben presto le risultò molto stretta, anche in funzione di una diversa consapevolezza personale e il crescente attivismo politico che la vedeva sempre più coinvolta, e in connessione con una parte di Hollywood che stava rapidamente discutendo e mutando i propri modelli culturali.

L’attivismo di Jane Fonda è iniziato negli anni Sessanta, a Parigi, frequentando Simone Signoret (attrice francese, premio Oscar nel 1960 per La strada dei quartieri alti). Con lei andò alla prima manifestazione contro la guerra, dove intervennero anche Simone de Beauvoir e Sartre.

Tornata negli Stati Uniti, diede vita a un intenso impegno politico indirizzato, in primo luogo, alla protesta contro la guerra del VietnamLa sua visita ad Hanoi e la sua propaganda filo-nord-vietnamita le valsero il soprannome di “Hanoi Jane“, ma la resero anche invisa a una parte della stampa e dell’opinione pubblica.

All’inizio degli anni ottanta, apparve nel film Sul lago dorato, in cui – per la prima e unica volta –  recitò accanto al padre Henry e a Katharine Hepburn.

Successivamente l’attrice diradò via via le sue apparizioni tanto nelle produzioni televisive quanto sul grande schermo, fino a cancellarle del tutto per un quindicennio, dedicandosi sempre più spesso a realizzare video e manuali di esercizi di ginnastica aerobica, inventandosi di fatto in questo settore una seconda e fortunatissima carriera, presto imitata anche da altre attrici in tutto il mondo.

Nel marzo 2001 decise di donare alla Scuola di Educazione dell’Università di Harvard la somma di 12,5 milioni di dollari per creare un “Centro per gli studi educativi”. La sua motivazione era che l’attuale cultura indica ai ragazzi e alle ragazze una visione distorta di ciò che è necessario imparare per diventare uomini e donne. Nel 2005 venne pubblicata la sua autobiografia, intitolata La mia vita finora.

Nel 2015 ha vinto l’OFTA Awards come migliore attrice comica per la serie televisiva Grace and Frankie. Nello stesso anno ha preso parte al film Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino. Nel 2017 ha presentato il film Le nostre anime di notte di Ritesh Batra, presentato fuori concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, di cui è protagonista assieme all’amico e collega Robert Redford con cui aveva lavorato molte volte nel corso della sua carriera. La pellicola narra la storia d’amore di due vedovi ottantenni. In quella occasione entrambi ricevettero il Leone d’oro alla carriera.

Liberale e femminista è divenuta un’icona dell’opposizione pacifista alle guerre iniziate sotto il mandato presidenziale di George W. Bush, così come lo fu durante la guerra del Vietnam.

Per Jane Fonda il vero cambiamento incomincia con un’azione che coinvolge il proprio corpo. Recentemente si è lasciata crescere i capelli bianchi, cosa rara per un’attrice di Hollywood. Per lei, cambiare taglio o pettinatura non è mai stato un atto neutrale. Ella stessa definisce hair epiphanies («epifanie dei capelli») i suoi cambi di look. La prima volta è stata alla fine degli anni Sessanta quando, tornata dalla Francia dove aveva sposato il regista Roger Vadim, padre di sua figlia Vanessa, aveva deciso di piantarla con i capelli lunghi da sex symbol e, da un barbiere del Village, si era inventata il taglio shag. Quei capelli un po’ spettinati, che sembravano semplicemente tagliati male, in realtà dicevano molto: basta con la favola della moglie e attrice-trofeo e con quella della figlia compiacente di Henry, mito del cinema americano. Il cambio di look era una conseguenza del suo attivismo.

Dopo il Vietnam, verranno le lotte per i Nativi Americani, le Black Panthers, il femminismo, l’Iraq, Black Live Matters, l’ambiente e l’emergenza climatica.

Non diventi saggia solo per aver fatto un sacco di esperienze: diventi saggio riflettendo sulle esperienze che hai avuto e capendo qual è il loro significato nella tua vita“.

Nel 2019, con un gruppo di amiche ha dato vita a una serie di azioni dimostrative sotto il nome di Fire Drill Fridays (i fire drill sono le esercitazioni antincendio) di fronte al palazzo del Campidoglio a Washington per le quali è stata arrestata cinque volte. L’ispirazione le era venuta leggendo Il mondo in fiamme di Naomi Klein. In particolare era stata colpita dalla descrizione di Greta Thunberg.

«Con il suo sguardo privo di filtri, Greta aveva visto la verità. Per usare le sue parole, noi ci dovremmo comportare come se la nostra casa fosse in fiamme, come se ci trovassimo nel pieno di un’emergenza. Perché è esattamente questo che sta accadendo».

I media di tutto il mondo l’hanno ripresa con i polsi ammanettati, trionfante nel suo bel cappotto rosso, che presto sarebbe diventato leggenda spopolando anche come costume di Halloween. Il movimento oggi conta un milione di sostenitori.

Nei Fire Drill Fridays le donne più anziane hanno un ruolo molto importante, forse perché sono più coraggiose. In primo luogo, per una questione ormonale – più avanza l’età, più si abbassano gli estrogeni e si alza il testosterone. Così diventiamo più forti anche perché, diciamocelo, che cosa abbiamo da perdere? In secondo luogo, e guardando più a fondo, le donne sono meno vulnerabili degli uomini alla malattia dell’individualismo. Come individui non abbiamo nessun potere, solo quando ci mettiamo insieme contiamo qualcosa. E questo le donne, per molteplici ragioni, riescono a capirlo fin dentro i loro corpi, così come capiscono la collettività e l’interdipendenza. A noi piace ritrovarci e fare le cose insieme, e dal momento che quella che viviamo è una crisi collettiva la soluzione non potrà che essere collettiva.

La disobbedienza civile, sostiene, deve diventare la nuova norma.

«Se si guarda al passato, la disobbedienza civile è l’unica arma ad avere funzionato davvero per cambiare un sistema. Quello che cerco di fare con i Fire Drill Fridays è riuscire a coinvolgere persone che non hanno mai fatto niente del genere prima. È tutto molto stimolante, perché c’è la polizia che ti arresta, ti mette le manette, ti chiude in galera e tu non hai più nessun controllo, eppure ti senti così potente, liberata, per il semplice fatto di essere riuscita ad allineare il tuo corpo con i tuoi valori. Un ragazzo una volta mi ha detto che, guardando i documentari su apartheid, diritti civili, voto alle donne, dove si vedevano persone arrestate e picchiate, si è sempre chiesto: “Io sarei stato così coraggioso?”. Ecco, anche questo è un periodo da documentari. Ma non dobbiamo più farci quella domanda: è il momento di agire».

Mitica Jane Fonda, donna determinata che non si arrende e non si ferma di fronte alle ingiustizie del mondo.

Il mio scopo, oggi, è poter morire morire in pace, guardare i miei nipoti negli occhi e dire: ho fatto tutto quello che potevo.

#unadonnalgiorno

 

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