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Cecilia Mangini. La prima documentarista del cinema italiano

Cecilia Mangini. La prima documentarista del cinema italiano

 

Cecilia Mangini è stata la prima documentarista del cinema italiano.

Nata in Puglia nel 1927 e cresciuta a Firenze.

Poco più che ventenne, acquista una macchina fotografica Zeiss e va a Lipari e Panarea, dove documenta il dramma delle condizioni dei minatori delle cave di pomice e delle loro mogli.

Tramite la fotografia, coniuga il desiderio di indipendenza con la passione politica.

Tra la fotografia e la regia il passaggio fu naturale, in un tempo in cui, per la società italiana, era praticamente impossibile che una donna facesse cinema. La svolta avvenne quando il produttore Fulvio Lucisano le propose di girare un documentario.

Iniziò un sodalizio artistico con Pier Paolo Pasolini, che produsse tre opere incentrate sulla vita delle persone che vivevano ai margini della società consumistica degli anni Sessanta.

Raccontarono le vite degli ultimi, tra cui le donne: figure invisibili che si ritrovano schiacciate tra vecchi retaggi di una società patriarcale e nuovi meccanismi culturali imposti dal boom economico.

Nel 1965, la regista aderisce a un progetto promosso dal Partito Comunista Italiano, che prevedeva la realizzazione di documentari che raccontassero la vita dei lavoratori e delle lavoratrici.

Realizza un reportage innovativo per l’epoca dal titolo chiaro “Essere donne“. Il documentario risulta essere tra le prime indagini cinematografiche sulla condizione femminile in Italia, analizzata nei suoi diversi aspetti: economici, sociali, psicologici e culturali.

Cecilia Mangini voleva denunciare le contraddizioni e la violenza della sconcertante realtà lavorativa e familiare delle donne italiane, che non aveva niente a che vedere con l’immagine edulcorata proposta dall’industria culturale degli anni Sessanta.

Il documentario subì un grave boicottaggio da parte delle autorità per la sua insopportabile sincerità. La regista è stata tra le prime a descrivere “la realtà complessa, contorta, avara di gratificazioni” delle donne.

In questo modo creò un filone nel giornalismo d’inchiesta che ancora oggi fa scuola.

Il linguaggio della sua narrazione è moderno, veloce, accattivante.

Con le sue opere, ha contribuito a dare voce ai dimenticati, ha mostrato le contraddizioni dell’essere donna, ha rivelato la desolazione che si nascondeva dietro il boom economico e ha documentato l’avvento della civiltà industriale e dei consumi.

È tra le donne italiane che hanno contribuito a comporre un nuovo tipo di consapevolezza e di sensibilità, che oggi accompagna le nuove generazioni.

#unadonnalgiorno

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