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Joyce Lussu

Joyce Lussu

Partigiana, capitana delle brigate Giustizia e Libertà e medaglia d’argento al valor militare, femminista, poeta, scrittrice, traduttrice, ecologista, divulgatrice, attivista. Questo è stata Joyce Lussu, importante protagonista della storia del ventesimo secolo.

Nacque a Firenze col nome di Gioconda Salvadori Paleotti, l’8 maggio 1912, ma in casa era chiamata Joyce. Lussu è stato, invece, il cognome del marito.

Sua madre era Giacinta Galletti de Cadilhac figlia e nipote di garibaldini, il padre, Guglielmo Salvadori, docente universitario e primo traduttore del filosofo Herbert Spencer. Malmenato e minacciato dalle camicie nere, dopo aver pubblicato articoli contro Mussolini, fu costretto all’esilio con la famiglia in Svizzera, nel 1924.

Joyce Lussu ha passato l’adolescenza all’estero, in collegi e ambienti cosmopoliti, maturando un’educazione non formale, ispirata agli interessi della famiglia per la cultura, l’impegno politico e la propensione alla curiosità, al dialogo, ai rapporti sociali. Vivevano in una casa “abitata più dai libri che dai mobili”.

Laureata in Lettere alla Sorbonne di Parigi e in Filologia a Lisbona, a Ginevra, nel 1933, per la prima volta, conobbe Emilio Lussu, eroe della Prima Guerra Mondiale, famoso per l’audace fuga dal confino a Lipari insieme a Carlo Rosselli, il padre della poeta Amelia Rosselli. Si innamorarono immediatamente ma lui non voleva impegnarsi e condurla nella sua vita errabonda.

Nel 1934 sposò Aldo Belluigi, un giovane ricco possidente fascista di Tolentino, insieme si recarono in Kenya, per raggiungere suo fratello Max che aveva aperto un’impresa agricola di cui divennero soci. Il matrimonio durò un paio di anni e, nel 1936, lei si trasferì in Tanganica, mentre lui, dopo aver perduto tutto il suo patrimonio, fece ritorno in Italia. Tra il 1934 e il 1938 Joyce Lussu ha viaggiato e soggiornato in diverse zone dell’Africa, conoscendo da vicino la realtà del colonialismo, tema da allora affrontato in diverse sue opere.

Tornata dall’Africa e entrata a far parte attiva nel movimento Giustizia e Libertà fece in modo di ritrovare Emilio Lussu, instancabile organizzatore della resistenza degli esiliati. L’amore sopito rinacque e si sposarono con una cerimonia civile che definirono ‘socialista’ in Francia, dove si era concentrato lo sforzo antifascista italiano. Da allora condivisero la vita in clandestinità, la battaglia politica prima e durante la Resistenza, la nascita di un figlio e il resto della esistenza dell’uomo, morto nel 1975.

Nel 1939 ha scritto Liriche, un libro di poesie curato da Benedetto Croce, affascinato dalla sua storia.

Nel 1940, con l’occupazione di Parigi, la coppia trovò riparo a Marsiglia da dove organizzavano partenze clandestine verso gli Stati Uniti. Emilio si occupava della logistica mentre Joyce falsificava documenti.

Attraversarono a piedi i Pirenei fino a raggiungere Lisbona dove entrarono in contatto con i gruppi di resistenza statunitensi e con la società Mazziniana. In Inghilterra ha imparato a usare le armi e le tattiche di guerriglia.

Tornata in Italia entrò nella lotta partigiana col nome di battaglia Simonetta. Ha raccontato  questo periodo in Fronti e Frontiere, del 1946.

A liberazione avvenuta, ha vissuto da protagonista i primi passi della Repubblica Italiana e il percorso del Partito D’Azione, fino al suo scioglimento.

Ha militato per qualche tempo nel PSI e, nel 1948, fatto parte della direzione nazionale del partito. Preferì, però, tornare a occuparsi di attività culturali e politiche autonome, insofferente a vincoli e condizionamenti d’apparato.

Ha vissuto per un periodo in Sardegna dove ha organizzato la partecipazione politica delle donne e, nel 1953, contribuito alla fondazione dell’Unione Donne Italiane, da cui presto si è allontanata.

Dal 1958 al 1960, ha continuato a battersi nel segno del rinnovamento dei valori libertari dell’antifascismo, spostando il suo orizzonte di riferimento nella direzione delle lotte contro l’imperialismo.

Sono seguiti anni di viaggi con organizzazioni internazionali della pace, con movimenti di liberazione anti colonialistici.

Tra il 1958 e il 1960 si è impegnata nella traduzione di molti altri poeti resistenti. Ha tradotto poeti albanesi, curdi, eschimesi, l’angolano Agostinho Nieto, il Diario dal carcere di Ho Chi Mihn, gli afroamericani del black power. Tradurre per lei significava far viaggiare le parole e continuare a far circolare i valori della Resistenza.

La sua traduzione delle poesie del turco Nazim Hikmet è, ancora oggi, tra le più lette in Italia. 

Il suo impegno nella traduzione è stato un atto politico. Dava voce a chi raccontava l’oppressione di un popolo e approfittando del lavoro culturale, ha aiutato a evadere prigionieri politici, ha marciato con i guerriglieri e organizzato la fuga della moglie di Hikmet con il figlio. Grazie al poeta turco è entrata a conoscenza della questione curda e si è recata in Kurdistan dove ha incontrato la resistenza dei peshmerga e il popolo “costretto a vivere da straniero nel suo territorio” (come lo ha definito nell’autobiografia Portrait).

Dalla metà degli anni Sessanta ha sposato la causa del popolo curdo che l’ha condotta nel mondo e, soprattutto, nelle scuole.

Dall’esperienza terzomondista (con Mario Albano aveva fondato, nel 1966, l’ARMAL, Associazione per i rapporti con i movimenti africani di liberazione) derivò, a partire dagli anni settanta, il suo impegno per la riscoperta e la valorizzazione della “altra storia”, quella delle tradizioni locali messe in crisi dalla industrializzazione.

Nel ’68, ha sostenuto le proteste studentesche, si è avvicinata all’ecologismo e preso parte alla lotta femminista degli Anni 70.

Convinta che fosse necessario scrivere una storia delle donne, troppo escluse dalla storia, ha scritto L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra in cui racconta il ruolo delle donne nel conflitto e nel suo esito.

Si è interessata alla storia locale, alla questione agraria, alle tradizioni popolari, al sapere femminile, in maniera diretta con la cultura materiale, come aveva fatto in Sardegna tra le donne della Barbagia.

Nel 1976 è stato pubblicato il libro Padre, padrone, padreterno col sottotitolo Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone.

Ha dedicato una parte fondamentale della sua straordinaria carica vitale al rapporto con i giovani e le giovani, nell’ipotesi di un futuro di pace, da costruire con impegno sistematico e conoscenze adeguate del passato, degli errori, delle violenze e delle ingiustizie che non dovevano ripetersi.

Conservando sempre una diffidenza nei confronti delle istituzioni, ha riposto massima fiducia e apertura verso le nuove generazioni.

Ha occupato una parte notevole del suo tempo in scuole di ogni ordine e grado, animando incontri che incrociavano percorsi di storia, poesia, autobiografia, progettualità sociale.

È morta a Roma il 4 novembre 1998.

Sono ancora poche, troppo poche, le persone che conoscono Joyce Lussu, donna rivoluzionaria, sempre in lotta col potere costituito. Indipendente, allergica ai dogmi e agli stereotipi ideologici, dallo spirito indomito, grande anticipatrice di importanti temi politici e sociali.

#unadonnalgiorno

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