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Le quarantuno bambine bruciate vive in Guatemala

Guatemala 41 adolescenti lasciate bruciare vive in un centro minorile

La mia donna del giorno, oggi non è una, ma sono quarantuno bambine bruciate vive nel centro per minori Virgen de Asunción a Città del Guatemala, altre diciassette quelle rimaste ustionate. È successo l’8 marzo del 2017, proprio mentre milioni di donne in tutto il mondo scendevano in piazza.

Un film dell’orrore girato all’interno di una casa di accoglienza per ragazzi e ragazze allo sbando, poverissimi/e, violentate in casa, abbandonati/e dai genitori, vittime di predatori e per questo affidate/i a una struttura dello Stato. Proprio qui, in locali malsani in cui erano tenute come prigioniere e non come vittime da proteggere, abusate e violentate, offerte a clienti esterni per qualche ora di sesso, quasi 100 adolescenti si ribellano e decidono di fuggire.

Una morte non accidentale, con pesanti responsabilità dello Stato e della stessa Polizia Nazionale, che non intervenne immediatamente, gesto che probabilmente avrebbe salvato le vite delle bambine intrappolate.

Bambine che avevano proprio poco tempo prima denunciato le violenze e gli abusi subiti in quel centro e che per questo erano state punite, chiuse nella casa, intrappolate.

Quasi due anni dopo, sono iniziati i processi contro i funzionari accusati di non aver potuto prevenire la morte. Lo studio delle documentazioni, insieme alle interviste ai familiari, agli impiegati dei centri di accoglienza e ai funzionari pubblici, ha rivelato una annosa lista di denunce di abusi fisici e psicologici e sessuali nel centro. Secondo le dichiarazioni dei familiari, tempo prima della tragedia, diverse ragazze avevano confidato di essere state costrette a fare sesso con sconosciuti più anziani.

La tragedia è iniziata con un tentativo di fuga. Un centinaio di minori nel centro di sicurezza Virgen de la Asunción, avevano deciso di scappare. La polizia li ha circondati e chiusi dentro: i ragazzi in un grande auditorium e le ragazze in una piccola stanza. Dopo ore di prigione, qualcuna ha acceso un fiammifero nella speranza che un incendio avrebbe costretto la polizia a farle uscire. Invece, la maggior parte di loro è morta mentre più di una dozzina di poliziotti discutevano se il loro supervisore, che era a 3 metri di distanza, avrebbe dovuto aprire la porta.

Queste ragazze erano vittime anche prima dell’incendio. Sopravvissute a abusi sessuali, violenza o abbandono – spesso per mano dei propri genitori – il governo aveva assegnato loro un posto nell’istituto, per la loro sicurezza. Ma il mondo esterno, a quanto pare, non è stata la cosa più pericolosa.

Il Guatemala è un paese in cui nascere donna è un grande problema, ha uno dei più alti tassi di gravidanza infantile e di femminicidi.

Il centro minorile Virgen de la Asunción, nella periferia di Città del Guatemala era stato inaugurato nel 2010 per ospitare ragazzi e ragazze dall’infanzia ai 17 anni. Già dal 2013, giornalisti locali avevano riferito degli abusi che si verificavano al suo interno: cibo in decomposizione, lenzuola sporche che causavano malattie della pelle e comportamenti violenti.

Le 56 adolescenti erano state rinchiuse in una stanza di meno di 46 metri quadrati in cui c’erano 23 materassi in polistirolo da condividere. Una di loro si era fratturata il bacino nel tentativo di scappare. Un’altra era incinta. Alle sei del mattino, le ragazze iniziano a lamentarsi. Dovevano andare in bagno ma non le lasciavano uscire. Hanno sollevato dei materassi per creare una latrina improvvisata. Intanto passavano le ore e una di loro, stufa della situazione, ha acceso un fiammifero, sperando che questo costringesse la polizia ad aprire la porta. Le fiamme divampano, si allargano. Le ragazze urlano, picchiano contro le pareti, le finestre che hanno le sbarre, sulla porta che resta chiusa a doppia mandata.
Fuori, sul corridoio, 12 agenti che sentono le urla, vedono il fumo nero che filtra dall’interno. Sanno quello che accade, che il locale con 56 ragazze rinchiuse sta prendendo fuoco, ma restano fermi. La funzionaria incaricata ha dichiarato ai pubblici ministeri che aveva rischiato la vita per salvare le ragazze. Ma i tabulati telefonici mostrano che era impegnata a comporre numeri dal suo cellulare e testimoni affermano che ha delegato l’emergenza ai suoi subordinati.

Una tragedia immensa, che non è stata filmata, e che non ha potuto raggiungere lo sdegno universale, ma che non si dovrebbe dimenticare, mai. Erano quarantuno bambine lasciate bruciare vive in una stanza senza intervenire in tempo. Una cosa terribile. Non possiamo girarci dall’altra parte e dimenticare, giustizia deve essere fatta. Non si può nemmeno accettare che il Ministro della Cultura guatemalteco abbia tentato di far ritirare dalla Plaza de la Constitución di Città del Guatemala il monumento realizzato spontaneamente per ricordare le giovani vittime dell’incendio. Un altro altare, due giorni dopo, è stato eretto, perché la Memoria è sacra e ridona dignità alle vittime.

Questi fatti si devono ricordare affinché non capitino mai più. Anche se, per qualcuno, erano semplicemente bambine indigene.

#unadonnalgiorno

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