Non so quanti giorni mi restano da vivere. I signori della guerra mi vogliono eliminare e sono potenti. Quello che conta non sono io come persona, ma le mie idee. Ciò che rappresento: la voce democratica dell’Afghanistan. La morte è un rischio che devo correre ma lo faccio volentieri per questo ideale che so che mi sopravviverà.
Malalai Joya ex deputata afghana, scrittrice e attivista dei diritti umani, dal 2003 viaggia in tutto il mondo per dare voce alle donne che ogni giorno vengono uccise in Afghanistan.
È diventata un simbolo mondiale per la sua lotta contro i nemici della democrazia che tengono soggiogato il suo popolo, usando armi, potere e religione per controllare le persone, negando diritti e istruzione.
È nata a Pashtu il 25 aprile 1978. Durante la guerra civile, a 4 anni, con la sua famiglia è stata costretta a rifugiarsi in un campo profughi prima in Iran e poi in Pakistan, dove teneva corsi di alfabetizzazione per le donne. Nel 1998, è rientrata nel suo paese, l’Afghanistan, ancora sotto il potere del regime talebano.
Ha iniziato a lavorare come assistente sociale per l’OPAWC Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities.
Per il suo attivismo, nel 2003, a 26 anni, è stata eletta come delegata alla Loya Jirga, tradizionale gran consiglio afgano che doveva stilare la carta costituzionale del paese. Ha subito denunciato, in un discorso divenuto poi celebre, i crimini dei signori della guerra che controllano i posti di comando del paese.
Alle elezioni parlamentari del settembre 2005 è stata eletta con largo consenso per rappresentare la sua provincia, alla Camera dei Deputati.
Dopo due anni di lotte e di minacce, nel 2007 Malalai Joya è stata espulsa dal Parlamento per averlo definito “peggio di uno zoo o una stalla” e i suoi membri “criminali e nemici del popolo” durante un’intervista a una tv locale.
La sua sospensione ha generato forti proteste a livello internazionale, tra le quali una dichiarazione firmata da scrittori, intellettuali e politici appartenenti ai parlamenti di mezzo mondo.
Da quel giorno vive sotto scorta, subisce continue minacce di morte e ha già subito vari attentati.
La sua battaglia è continuata anche fuori dai confini nazionali, appoggiata da RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) chiede a gran voce un tribunale internazionale per giudicare i criminali di guerra che occupano ancora posti di potere politici ed economici e portare giustizia e democrazia in un paese martoriato come l’Afghanistan.
Da sondaggi fatti, l’80% della popolazione si è espressa per la sua riammissione in parlamento, ma si temono ripercussioni da parte di chi detiene armi e potere.
Continua inarrestabile a incontrare la sua gente in ogni provincia del paese e viaggia in tutto il mondo per denunciarne i soprusi.
Per il suo coraggio e il suo costante impegno, è considerata una delle principali attiviste nel campo della difesa dei diritti umani e delle donne.
Il silenzio delle persone perbene è più nocivo delle azioni dei malvagi.
In Afghanistan, è costretta a vivere come una latitante, sotto scorta, sempre nascosta dal burka, cambiando casa continuamente, lontana dalla sua famiglia.
Lotta affinché le donne del suo paese, tenute soggiogate dalla religione, vengano istruite e rese consapevoli dei loro diritti. Mancano di assistenza sanitaria, la loro aspettativa di vita è sotto i 45 anni. Il numero delle vedove che si tolgono la vita per evitare una destino disperato continua a crescere, così come gli stupri e i femminicidi.
Ha denunciato che i milioni di dollari investiti in Afghanistan per la ricostruzione del paese vanno in mano ai fondamentalisti e quasi nessuno a beneficio della popolazione. Sostiene che nulla è cambiato, i giornalisti vengono intimiditi, il popolo è più povero, aumenta solo la produzione di oppio e la corruzione del governo.
Nel 2007, il Parlamento Europeo l’ha nominata tra i cinque candidati al Premio Sakharov per la libertà di pensiero.
Nel 2008, Malalai Joya e il documentario Nemici della felicità sono stati premiati con l’International Human Rights Film Award di Amnesty International, Cinema per la Pace e la rete dei diritti umani.
È stata citata dal Time tra le cento persone più influenti dell’anno 2010, il Guardian l’ha inserita tra le più grandi attiviste del 2011.
Ha scritto il libro Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afghane.
Malalai Joya è una donna che va sostenuta anche fuori dall’Afghanistan, perché darle ragione significa prendere posizione anche contro i governi stranieri che appoggiano questa democrazia “farsa”.
#unadonnalgiorno