Ágota Kristóf, scrittrice e drammaturga ungherese passata alla storia della letteratura mondiale col suo capolavoro La trilogia della città di K. che ha ricevuto numerosi premi letterari ed è stato tradotto in oltre trenta lingue.
I suoi romanzi, dalla scrittura asciutta e incisiva, la prosa austera e la narrazione senza fronzoli, esplorano, in maniera cruda e provocatoria, temi universali come la violenza, la guerra, l’infanzia e la natura umana. I personaggi dei suoi racconti sono spesso segnati dalla condizione esistenziale dell’erranza, di chi è costrettə ad abbandonare la propria terra per cercare rifugio in un paese straniero
Nata il 30 ottobre 1935 a Csikvánd, un piccolo villaggio in Ungheria, a quattordici anni scriveva le sue prime poesie mentre studiava in un collegio di sole ragazze.
Nel 1956, dopo l’intervento dell’Armata Rossa per soffocare la rivolta popolare contro l’invasione sovietica, è fuggita con il marito e la figlia in Svizzera stabilendosi a Neuchâtel, dove ha vissuto fino alla morte, avvenuta il 27 luglio 2011.
Quando è scappata aveva poco più di vent’anni e una bambina di undici mesi avvolta alla schiena. Ha dovuto imparare a ricostruirsi una nuova vita, una nuova lingua, che ha adoperato per scrivere, sentendosi sempre analfabeta perché non la padroneggiava abbastanza. Ha lavorato come operaia in una fabbrica, poi è stata insegnante e traduttrice, ha divorziato e avuto altri due figli.
La sua fuga è stato un trauma da cui non si è mai ripresa, allontanata dagli affetti in un mondo totalmente diverso da quello a cui apparteneva. La condizione inesorabile della persona migrante che deve adattarsi a una realtà da cui si sente estranea.
Ha raggiunto il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier che, insieme a La preuve e Le troisième mensonge è confluito in quel grande capolavoro che è stato la Trilogie (Trilogia della città di K.). I tre libri ripercorrono il tema del distacco, la separazione di due gemelli, Klaus e Lucas, e il ritrovamento dopo la guerra.
La sua scrittura è scarna, crudele, reale. Un pugno nello stomaco di chi la legge. Quello che racconta non ha bisogno di fronzoli o abbellimenti, è il ritratto di una realtà dura che molto coincide con la sua biografia. Ha rappresentato le tragedie della guerra con una disperazione fredda e sorda, come se scrivesse attraverso gli occhi di un bambino che non giudica mai niente, che si limita a registrare quello che accade con spietata ingenuità.
Vari i romanzi e le opere teatrali che ha scritto consumando, con parole dure, la lotta per integrarsi in una nuova cultura, la continua guerra di chi ha perso la propria terra e non potrà mai più tornare indietro.
#unadonnalgiorno