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Chiara Bersani e il corpo politico

Chiara Bersani

Per me tutto è politico: lo è con chi fai sesso, con chi mangi, con chi vai al cinema. Quindi, il corpo, dal momento che esiste, è già politico, indipendentemente dalla scelta di esporlo oppure no. Anche scegliere di non far vedere il proprio corpo è una scelta politica. Io faccio un atto politico quando scelgo di portare il mio corpo negli spazi senza chiedermi se quegli spazi siano adatti al mio corpo.

Chiara Bersani è un’artista attiva nell’ambito delle Performing Arts, del teatro di ricerca e della danza contemporanea.

Autrice, interprete, regista e coreografa, si muove attraverso linguaggi e visioni differenti.
I suoi lavori, presentati in circuiti internazionali, nascono come creazioni in dialogo con spazi di diversa natura e sono rivolti prevalentemente a un pubblico “prossimo” alla scena.

La sua ricerca si basa sul concetto di Corpo Politico e sulla creazione di pratiche volte ad allenarne la presenza e l’azione. L’opera “manifesto” di questa ricerca è Gentle Unicorn.

Nel 2018 ha vinto il Premio UBU come miglior nuova attrice/performer under 35. Molto importante è stato il suo discorso durante la consegna del riconoscimento:

Io non voglio più essere un’eccezione!

Desidero leggere questo premio come un’assunzione di responsabilità da parte del teatro italiano nei confronti di tutti quei corpi che per forma, identità, appartenenza, età, provenienza, genere, faticano a trovare uno spazio in cui far esplodere le loro voci. Se io, con il mio corpo disabile oggi sono qui, a ricevere un riconoscimento così prezioso, è perché qualcuno da chissà quanti anni ha iniziato lentamente a smussare gli angoli di un intero sistema.

Se il mio corpo è qui è grazie a tutti i maestri che hanno scelto di accogliermi come allieva anche se questo significava adattare i loro metodi ai miei movimenti.

Sono profondamente convinta di essere un simbolo. Questo, insieme al fatto di essere la prima interprete con disabilità fisica evidente premiata agli Ubu, mi ha fatto sentire come una piccola bandierina, qualcosa che poteva avere senso solo se avesse aperto lo sguardo su un mondo che viene troppo poco guardato, ancora molto sommerso, quello del teatro off, del teatro indipendente e degli attori con corpi non conformi che lavorano ugualmente e si formano con grande fatica.

Nell’agosto 2019 all’Edimburgh Fringe Festival con Gentle Unicorn ha vinto il primo premio per la categoria danza del Total Theatre Awards.

È sostenuta dal circuito Advancing Performing arts project – Feminist Future, un progetto cofinanziato dal Programma Europa Creativa dell’Unione Europea, fino al 2024.

Nata a San Rocco al Porto, in provincia di Lodi, nel 1984, è affetta da osteogenesi imperfetta,  patologia rara che ha reso il suo corpo particolarmente vulnerabile. Un corpo divergente che ha trasformato in opera d’arte e opportunità d’interrogazione attraverso le sue performance.

Mentre frequentava l’università a Parma, ha frequentato il corso di teatro di Lenz Rifrazioni e in quel contesto ha scoperto le possibili e inesplorate identità che il suo corpo poteva assumere.

Un nuovo corpo possibile che ha ribaltato il suo rapporto con lo spazio, la femminilità, il nudo e il movimento, esplorando confini e valicando i limiti della danza contemporanea.

Dopo aver lavorato con importanti compagnie internazionali ha iniziato a creare le sue opere. Gentle unicorn è stato il suo primo lavoro che parla in modo inequivocabile di corpo politico.

Fionde è invece una performance “delivery” nata durante la pandemia da Covid-19 nata dal disagio di non poter raggiungere le persone care.
La persona disabile è la mosca bianca in un mondo che tendenzialmente vuole prendersi cura di lei—più o meno autenticamente—, e la discriminazione diventa più subdola. Questa attitudine di cura mette sempre alle persone disabili un costante obbligo di gratitudine verso le altre persone. Siamo obbligate a dire una parola di gentilezza, piuttosto che una parola reale. E in parte è anche perché per noi è complesso incontrarci e fare comunità, il che implica la necessità di più tempo per mettere a fuoco certi paradigmi. In Italia, per esempio, si sta registrando una spinta verso questi temi grazie al femminismo intersezionale e a Internet, dove si possono creare facilmente alleanze articolate.

Il presupposto che il nostro corpo non sia desiderabile è la base per cui tante persone disabili accettano di partecipare a relazioni abusanti.

L’intersezionalismo sta permettendo di fare cordata, migliorando la situazione, anche perché è fondamentale ricordare che le persone disabili hanno, come tutte, diversi orientamenti sessuali, diverse identità di genere, diverse provenienze. Anche qui, ci sono delle buone pratiche che bisognerà sviluppare.
 Il fatto che i nostri corpi fatichino a essere presenti sul posto limita la nostra capacità di partecipare a molti eventi e questo è un problema.

#unadonnalgiorno

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