artefotografia

Francesca Woodman

La cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida.

Francesca Woodman, fotografa statunitense dal carattere provocatorio e dall’anima tormentata. Scomparsa tragicamente a 23 anni gettandosi da un palazzo di New York, è stata un’artista influente nel panorama artistico degli ultimi decenni del XX secolo.

Nel corso della sua breve vita ha realizzato oltre 10.000 negativi, anche se oggi risultano pubblicate e esposte solo 120 fotografie. Ha ritratto essenzialmente se stessa e nudi femminili in bianco e nero, talvolta con il volto oscurato, ottenendo effetti sfocati grazie al movimento e al lungo periodo di esposizione, che conferiscono l’effetto di una fusione dei corpi con l’ambiente circostante.

Nata a Denver il 3 aprile 1958, figlia d’arte, si avvicinò prestissimo alla fotografia. Realizzò il suo primo autoritratto a tredici anni, sarà solo il primo di una lunghissima serie che la vedrà protagonista, fino alla morte. I suoi genitori amavano molto l’Italia, dove fin da piccola trascorse lunghi periodi, soprattutto nella campagna toscana. Terminati gli studi alla Rhode Island School of Design, nel 1977 si trasferì a Roma, dove frequentò la libreria antiquaria Maldoror e il Gruppo di San Lorenzo, fondamentali per la sua evoluzione professionale. Trasferitasi successivamente a New York, tentò di affermarsi nel mondo della fotografia, ma ricevette tanti rifiuti che minarono il suo equilibrio trascinandola in una profonda depressione. Nel 1980 tentò il suicidio, senza riuscirci.

Nel 1981 ha pubblicato la sua prima e unica collezione di fotografie intitolata Some Disordered Interior Geometries, costituita da scatti applicati su quaderni scolastici della fine dell’800.

In quello stesso anno, il 19 gennaio, si è suicidata lanciandosi nel vuoto dopo l’ennesimo rifiuto per una borsa di studio e una relazione finita male.

Il lavoro di Francesca Woodman si concentra sul proprio corpo nudo, a volte nascosto e altre sfacciatamente evidente e costantemente integrato con l’ambiente circostante, in dialogo tra realtà interiore e spazio. I suoi autoscatti sono gesti performativi in continua metamorfosi.

Tra le sue opere più note Abandoned house in cui l’artista/modella si nasconde fugacemente dietro la carta da parati, ma con lo sguardo rivolto verso l’obiettivo, o la serie Self-deceit, in cui corpo e spazio si plasmano a vicenda.

Le sue fotografie sono volutamente di piccolo formato, perché devono costituire, per chi le guarda, un’esperienza intima, che necessita raccoglimento.

Nelle sue foto c’è quasi sempre lei. Mai in posa, ma sempre in movimento, sfocata, nascosta. Per creare le sue immagini spettrali, usava esposizioni lunghe o doppie in modo da poter operare attivamente nella fase di impressione della pellicola. Un fantasma nel suo stesso corpo, all’interno di edifici abbandonati, case dalle pareti scrostate. Nei suoi autoritratti c’è malinconia, tristezza, ma insieme tanta vita, emozione, femminilità.

Oltre a se stessa, nelle sue foto compaiono anche l’amica fotografa Sloan Rankin Keck e il compagno Benjamin Moore.

C’è un’immagine che, più di tutte, ci racconta chi era Francesca Woodman. È la foto di una ragazza di vent’anni che si guarda allo specchio, in una stanza dalle pareti screpolate. Il volto è sfocato, è nuda ma non si vede quasi nulla del suo corpo. Ha i capelli raccolti in un’acconciatura rinascimentale, gli occhi bassi, tristi, sembrano guardare verso un punto non precisato nello spazio. Un abisso che presto la risucchierà, lasciando dietro di sé solo immagini di una bellezza commovente, unico testamento di una ragazza che ha scelto di interrompere la sua vita tanto presto. Come se non avesse altro da dire, altro da lasciarci se non quello che aveva già scattato. 

 

#unadonnalgiorno

 

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