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La dimensione politica di Hannah Arendt

Hannah Arendt filosofa politica

Hannah Arendt è stata una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense in seguito al ritiro della cittadinanza tedesca nel 1937. Si può considerare la più grande pensatrice politica del ventesimo secolo.

Continua a influenzare il pensiero contemporaneo, perché ha riflettuto su molte delle questioni che ancora ci preoccupano, come la confusione tra fatti e opinioni, la crisi della cultura e il totalitarismo.

Nacque a Hannover, 14 ottobre 1906, lasciò la Germania nazista nel 1933, a causa delle persecuzioni dovute alle sue origini ebraiche, rimase apolide dal 1937 al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense.

Lavorò come giornalista e docente universitaria e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferendo che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come filosofia politica.

Nata da una famiglia ebraica, fu studentessa di filosofia di Martin Heidegger all’Università di Marburgo. Ebbe una relazione sentimentale segreta con questi, scoprendone tardi i rapporti col nazismo, da cui si dissociò. Dopo aver chiuso questa relazione, Hannah Arendt si trasferì a Heidelberg dove si laureò con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino, sotto la tutela del filosofo e psichiatra Karl Jaspers. La tesi fu pubblicata nel 1929, ma, per via delle sue origini ebraiche, nel 1933 le fu negata la possibilità di ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche.

Nel 1929 sposò il filosofo Günther Anders, da cui si separò nel 1937. Successivamente lasciò la Germania per Parigi, dove conobbe il critico letterario marxista Walter Benjamin. Durante la sua permanenza in Francia, Hannah Arendt si prodigò per aiutare gli esuli ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Dopo l’invasione e occupazione tedesca della Francia durante la seconda guerra mondiale, e il conseguente inizio delle deportazioni di ebrei e ebree verso i campi di concentramento tedeschi, Hannah Arendt fu costretta emigrare. Nel 1940 sposò il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con cui emigrò (assieme a sua madre) negli Stati Uniti d’America. Divenne attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, e scrisse per il periodico in lingua tedesca Aufbau.

Dopo la seconda guerra mondiale si riconciliò con Heidegger. Durante un processo in cui era accusato di aver favorito il regime nazista testimoniò in suo favore.

Tra il 1960 e il 1962 seguì il processo di Adolf Eichmann, un criminale nazista, dal quale prese spunto per scrivere La banalità del male.

Morì il 4 dicembre 1975 a New York, in seguito a un attacco cardiaco.

Hannah Arendt difese il concetto di “pluralismo” in ambito politico. Grazie al pluralismo, il potenziale per la libertà politica e l’uguaglianza tra le persone si sviluppano. Importante è la prospettiva di inclusione dell’altro, ovvero di ciò che ci è estraneo. Politicamente, le convenzioni e le leggi dovrebbero funzionare per modalità pratiche e livelli appropriati, quindi tra persone ben disposte. Come risultato dei suoi assunti, Arendt si trovò contro la democrazia rappresentativa, che criticò fortemente, preferendole un sistema basato sui consigli o forme di democrazia diretta.

Grazie al suo pensiero indipendente, alla teoria del totalitarismo (Theorie der totalen Herrschaft), ai suoi lavori sulla filosofia esistenziale e alla sua rivendicazione della discussione politica libera, Hannah Arendt detiene un posto centrale nei dibattiti contemporanei.

Verità e bugie in politica, attrazione per la violenza: sono solo alcuni esempi di tutto ciò che Hannah Arendt ha pensato in modo genuino, controverso e incisivo, sempre con la propria voce.

Ci ha anche aiutato a distinguere tra verità e opinioni fattuali, avvertendoci che “la libertà di opinione è una finzione se l’informazione obiettiva non è garantita e i fatti stessi non sono accettati”. Da queste osservazioni si distingue l’immensa importanza che ella attribuiva alla sfera pubblica, quello spazio che consente l’esistenza di un “mondo comune” e la sua inevitabile connessione con la pluralità di opinioni e libertà umana.

La dimensione della politica per Hannah Arendt si lega a una tradizione totalmente alternativa. Politica è valorizzare il fatto che la condizione umana è una condizione di pluralità; politica è abbandonare l’isolamento protettivo della vita privata, della famiglia, del gruppo e dell’etnia per accettare il rischio dell’esposizione agli altri per amore di un mondo abitato da persone uniche e diverse le une dalle altre.

Rilanciava la dignità della vita pubblica e del dialogo tra cittadini come antidoto allo schiacciamento dell’individuo nella massa tipico dei regimi totalitari. Ogni essere umano può sottrarsi ai meccanismi che fatalmente lo condizionano e trovare il significato della sua esistenza, affermando una libertà che è sostanzialmente potere di iniziativa e di innovazione, capacità di esprimere se stessi e di assumere la responsabilità delle proprie azioni, trasformando il contesto delle relazioni, tradizioni, regole istituite che costituiscono la realtà che ci circonda nel luogo di un radicamento comune di esperienze, di condivisione di un comune destino.

Hannah Arendt è stata una pensatrice della politica ma, secondo la sua stessa ammissione, non un animale politico: molto riservata sulle passioni private, soprattutto non volle appartenere a gruppi o partiti.

I lavori di Hannah Arendt riguardarono la natura del potere, la politica, l’autorità e il totalitarismo.

Nel suo resoconto del processo ad Eichmann per il New Yorker (che divenne poi il libro La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme, 1963) Arendt ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale: anzi è proprio l’assenza di radici, di memoria, del non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi che personaggi spesso banali si trasformino in autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere, com’è accaduto nella Germania nazista, un popolo acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia e a far sentire l’individuo non responsabile dei propri crimini, senza il benché minimo senso critico.

C’è un orientamento morale nelle sue ultime riflessioni e il loro valore sta nel rivolgersi a tutti gli esseri umani – uomini e donne – che in quanto tali sono titolari della capacità di pensare. In particolare, la concezione del pensare è particolarmente innovativa perché fa del pensiero un vero e proprio strumento per la circolazione del senso in ogni ambito della nostra esistenza. Esercitare l’attività del pensiero vuol dire mettere ordine nella vita emotiva, così come cercare di sottrarre l’agire alla sua imprevedibilità. In questo modo, diventa possibile instaurare un legame tra i diversi ambiti dell’esperienza e prepararsi a stare sulla scena del mondo, manifestando chi si è veramente.

La sua originalità sta nel fatto che i suoi libri sfuggono a qualsiasi classificazione, hanno ognuno scopo e tema diversi, con la precisione di un chirurgo e la bellezza di coloro che sanno che la lingua è un tesoro prezioso, sfuggendo a qualsiasi tentazione di racchiudere il loro pensiero in un sistema, per costruirci un rifugio rassicurante dove tutto si adatta a noi.

Hannah Arendt descrisse l’attività del pensiero mentre comprendeva la propria vita, affrontando i problemi più complessi con il coraggio e la prudenza della pensatrice che li guarda frontalmente e li analizza a distanza e con il filtro della riflessione. Ha parlato della radicalità del male e della sua banalizzazione, del totalitarismo, del pensiero e della luce brillante della presenza costante degli altri.

#unadonnalgiorno

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