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Nona Faustine

Nona Faustine visual artist

Che il razzismo rappresenti ancora un problema, e pure grosso, negli Stati Uniti, è evidente. Anche dopo aver avuto Obama come presidente, ovvio. Quella del presidente nero che fa la rivoluzione è una storiella che si racconta in giro per sentirsi a posto con la coscienza, ma i neri uccisi dalla polizia sono il chiaro esempio che la realtà è ben diversa. Siamo arrivati ​​a questo punto perché non abbiamo mai riconosciuto i peccati della schiavitù e il dolore che ha provocato“.

Nona Faustine è un’artista militante che usa la fotografia per combattere razzismo e patriarcato.

Il suo lavoro si concentra sulla storia, l’identità, la rappresentazione e cosa significa essere una donna nera nel ventunesimo secolo.

Le sue opere sono nella collezione del Brooklyn Museum e del Carnegie Museum.

Nata a Brooklyn, New York nel 1977, suo padre era un fotografo dilettante. È stato suo zio a regalarle, ancora bambina, la prima macchina fotografica.

Il suo primo approccio è stato alla fotografia documentarista per poi avvicinarsi a un tipo di lavoro più concettuale. Non riuscendo a ritrovarsi nelle storie della fotografia che ha incontrato, dominate sproporzionatamente da fotografi maschi e bianchi, ha iniziato a trattare il tema del razzismo sistematico nel suo Paese. 

Diplomata alla Scuola di Arti Visive di New York, si è laureata all’International Center of Photography del Bard College, nel 2013.

Ha iniziato il suo progetto White Shoes per la sua tesi di laurea, dopo aver subito il razzismo anche a scuola e mentre venivano rese pubbliche le uccisioni di uomini e donne di colore da parte della polizia. Questo lavoro è continuato per i tre anni successivi. 

Ha usato il suo corpo come monumento temporaneo.

Ha attraversato la storia della schiavitù a New York attraverso una serie di autoritratti di nudi scattati in luoghi significativi come i luoghi di sepoltura, i mercati, le fattorie e i punti di sbarco delle navi cariche di persone schiavizzate.

Mettendo a nudo la sua carne, denuncia il più grande orrore della storia dell’umanità, la tratta, e di come abbia ridotto le persone a semplici corpi, macchine di muscoli.

La sua riflessione parte dalla constatazione di essere discendente di quelle persone ridotte in schiavitù che hanno contribuito alla creazione della potenza americana, con il proprio lavoro e apporto culturale, ma che raramente si vedono rappresentate nella versione raccontata dalla cultura bianca.

In tutte le foto indossa delle scarpe bianche, elemento simbolico del patriarcato bianco dal cui sguardo di sottomissione non può sfuggire e  degli ideali di bellezza occidentali, impossibili da raggiungere per le donne di colore.

Nel corso di questi anni, Nona Faustine si è messa nuda dinanzi la Corte Suprema americana, sulla storica scalinata del tribunale di Chambers Street, nel Giardino Botanico di Brooklyn, nel cuore di Chinatown e a Wall Street, nello scatto più emblematico dell’intero progetto. La strada, simbolo della corsa spietata al denaro, dal 1711 al 1762, è stata la sede del mercato dove si compravano persone africane e native americane costrette in schiavitù.

Questo lavoro è diventato un libro intitolato, appunto, White Shoes.

Nella serie successiva, Mitochondria, l’artista ha fotografato se stessa, sua madre, sua sorella e sua figlia nella loro casa condivisa a Brooklyn. L’opera illumina sia la forza del loro legame familiare che i loro destini interdipendenti.

Il New York Times ha osservato che la serie è “una celebrazione del potere delle donne afroamericane di nutrire la famiglia, anche nelle circostanze più difficili. Il titolo della serie si riferisce al DNA mitocondriale codificato nei geni umani, che è ereditato esclusivamente dalla madre. Attraverso questo metafora, la serie commemora la continuità della femminilità afroamericana da una generazione all’altra.  Sottolinea anche il ruolo svolto dalle donne di colore nella lotta per l’uguaglianza e la giustizia“.

In aprile 2022, la Galleria Nazionale d’Arte di Washington le dedicherà una retrospettiva e, subito dopo, il suo lavoro si sposterà alla Biennale di Dakar.

 

#unadonnalgiorno

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