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Tomaso Binga poeta e artista femminista

Tomaso Binga artista e poeta femminista

Tomaso Binga, alter ego di Bianca Pucciarelli, è una figura di punta della poesia fonetico-sonora-performativa.

Un’artista che ha attraversato i momenti più intensi dell’arte italiana degli anni Sessanta e Settanta, quando arti visive, teatro, musica e poesia convergevano in un dialogo denso di nuove possibilità.

Ha assunto un nome maschile in segno di protesta contro le disparità che caratterizzano la relazione uomo-donna.

Tutto il suo lavoro artistico è incentrato sulla “scrittura verbo visiva” e sulle azioni sonoro/performative, per tentare un processo di de-semantizzazione del codice verbale.

Nata a Salerno il 20 febbraio 1931, ha fatto studi classici. Già a dieci anni scriveva poesie e racconti. Nel 1959, ha sposato Filiberto Menna, che sarebbe diventato uno dei più autorevoli critici italiani. All’epoca lui era medico e lei insegnante.

Salerno tra gli anni Sessanta e Settanta era una città di grande vitalità intellettuale in cui hanno visto la luce luoghi espositivi aperti al dibattito. Personalità come Marcello e Lia Rumma, hanno creato, nel 1966, le Rassegne di Pittura, agli Antichi Arsenali di Amalfi, nel cui ambito si è svolta, due anni dopo, Arte povera più azioni povere, a cura di Germano Celant.

Era anche nata la rassegna di teatro d’avanguardia Nuove tendenze e la sperimentazione militante del Teatrogruppo, ispirata al Living Theatre.

I suoi riferimenti artistici, fin dall’inizio, sono stati l’arte concettuale e la poesia visiva. Fenomeni artistici che, pur avendo una minore visibilità, portavano avanti una sperimentazione più radicale.

Nel 1971, per la sua prima mostra L’oggetto reattivo in cui presentava opere di poesia visiva, ha deciso di farsi chiamare Tomaso Binga.

Il mio nome maschile gioca sull’ironia e lo spiazzamento: vuole mettere allo scoperto il privilegio maschile che impera anche nel campo dell’arte. È una contestazione, per via di paradosso, di una sovrastruttura che abbiamo ereditato e che come donne vogliamo distruggere. In arte, sesso, età, nazionalità non dovrebbero essere delle discriminanti. L’artista non è un uomo o una donna ma una PERSONA. Il mio alter ego, Tomaso, è un richiamo diretto a Filippo Tommaso Marinetti (con una sola “m” per caduta di una costola) e a una stagione dell’arte italiana quanto mai viva e vivace.

Ha frequentato la Cooperativa Beato Angelico, collettivo femminista di sole artiste.

La sua ricerca abbracciava uno dei nuclei fondamentali della discussione del movimento delle donne, la necessità di rifondare il linguaggio, strumento del potere patriarcale, della storia, della legge, della religione, che ha contribuito all’emarginazione femminile. Anche per questo, nelle opere di quegli anni, il corpo spesso si opponeva alla parola e diventava uno strumento di espressione alternativo, elemento fondante di un nuovo modo di comunicare.

Nei suoi lavori le parole sconfinano dai luoghi deputati, proliferano come cellule, invadono gli spazi che ci circondano.

Dal 1974 ha diretto l’associazione culturale Lavatoio Contumaciale, luogo di aggregazione che si occupa di poesia, arti visive, letteratura, musica e multimedialità promuovendo manifestazioni e dibattiti sui diritti umani, contro ogni forma di violenza e per la salvaguardia della natura.

Il centro, negli anni, ha visto passare importanti nomi della letteratura, del cinema e del teatro come Dacia Maraini, Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Roberto Benigni, Giuseppe Bartolucci, Gianfranco Baruchello, Nanni Balestrini e tanti e tante altre ancora.

Nel 1978 ha partecipato alla mostra Materializzazione del linguaggio a cura di Mirella Bentivoglio, per la Biennale di Venezia, dove ha presentato i Dattilocodici, lavori fatti con la macchina da scrivere. È stata la prima grande mostra tutta al femminile, un momento importante all’interno di una situazione artistica italiana che stentava a riconoscere l’apporto delle donne, sempre marginalizzate.

Nella sua particolarissima pratica artistica, è contraddistinta da una modalità di analisi critica del linguaggio dominante, profondamente ironica e antiretorica – tra scrittura verbo-visiva e azioni performative, le istanze femministe si esprimono senza rinunciare al motto di spirito.

Ironia e grottesco, denuncia e dissacrazione, non senso e luogo comune, sono i principali ingredienti delle sue performance poetiche.

Tomaso Binga ha precorso i tempi, scardinato pregiudizi e combattuto il gender gap, con un entusiasmo coinvolgente e disarmante.

Donne e uomini dovremmo perseguire uno stato di armonia dove a tutti gli esseri viventi, umani e non, venisse riconosciuto il diritto di esistere e realizzarsi secondo la propria natura. La chiusura della poesia non è una sentenza, ma un monito: bisogna restare vigili, perché i diritti e le libertà che abbiamo ottenuto non sono eterni.

Contro il costume che attribuisce un significato maschile al lavoro dell’artista, io sono una cartuccia e va…sparata!

Grande la sua attitudine alla collaborazione e al confronto, i suoi progetti sono il risultato di incontri con donne, più o meno note.

Ultimamente, nelle sue mostre personali, riserva una stanza o uno spazio per le opere di altre artiste che sceglie e che supporta.

 

#unadonnalgiorno

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