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Valerie Solanas

Valerie Solanas

«Per bene che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata. E poiché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile».

Incipit di SCUM Manifesto di Valerie Solanas, controversa scrittrice protagonista della controcultura statunitense degli anni Sessanta. 

È stata una donna e un’artista scomoda, che ha prodotto uno dei testi più iconoclasti, incendiari e parodistici del femminismo.

Con un’operazione inedita e potente, escludendo qualsiasi atteggiamento vittimistico, ha usato l’umorismo e la satira per denunciare gli sbilanciati rapporti di potere basati sul sesso.

Marginalità e scrittura sono state dimensioni inscindibili nella sua vita costellata di violenza fisica ed economica, discriminazione, dinieghi e reclusioni.

Nata il 9 aprile 1936 a Ventnor City, nel New Jersey, per tutta l’infanzia era stata abusata sessualmente dal padre. Dopo il divorzio dei genitori, sua madre si era risposata e poiché anche il patrigno non era propriamente una brava persona, l’aveva spedita in collegio. A quindici anni aveva già partorito una bambina che venne cresciuta come una sorella. Successivamente era rimasta incinta di un uomo sposato e molto più grande di lei, che le aveva imposto di dare in adozione il bambino a una coppia che, in cambio, aveva finanziato i suoi studi universitari.

Nonostante i traumi della sua giovane esistenza, nel 1958, si era laureata in psicologia nel Maryland e iniziato a frequentare un master di psicologia evolutiva all’università del Minnesota, ma dopo un anno aveva abbandonato, denunciandone il sistema di selezione fortemente sessista.

Vivendo di espedienti, aveva cominciato a vagabondare per il paese. Arrivata a New York, si era fatta conoscere negli ambienti underground come scrittrice e femminista radicale, dichiaratamente lesbica e per questo boicottata dagli uomini che, anche nella controcultura, detenevano il potere.

Nel 1966 ha scritto il racconto autobiografico Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle, in cui la protagonista vive di accattonaggio e taccheggio, per contribuire alla “causa socialista”, mettendo alla berlina il variegato mondo di maschi che incontra.

Nel 1967 ha redatto la prima edizione dello SCUM Manifesto, frutto di due anni di lavoro, che attacca in maniera feroce il patriarcato e la figura maschile. Vendeva le copie per strada, a 25 centesimi alle donne e a un dollaro agli uomini. SCUM letteralmente significa feccia e si riferiva a coloro che, come lei, vivevano di accattonaggio e prostituzione, sperimentando il peggio della vita. Queste donne, considerate il rifiuto della umanità, dovevano essere artefici della rivoluzione per cambiare il mondo, eliminando i maschi, responsabili della costruzione di un modello economico e sociale che porta verso la distruzione.

In quegli anni orbitava, anche se mai accettata davvero, intorno alla Factory di Andy Warhol. All’artista aveva consegnato l’unica copia del suo dramma Up Your Ass che lui aveva promesso di far pubblicare per poi cambiare idea ritenendolo troppo scurrile, rifiutandosi di restituirgliela. Successivamente le aveva offerto il ruolo di comparsa in I, A Man e utilizzato sue frasi senza mai citarla in una serie di film da lui prodotti (in particolare Women in Revolt) nonostante lei gli avesse chiesto più volte di non farlo.

Il 3 giugno 1968, nauseata da quel mondo e da come veniva trattata, ha compiuto il gesto che, più del suo lavoro, l’ha consegnata alla storia, ha sparato a Andy Warhol, riducendolo in punto di morte. 

Al processo si era difesa da sola sostenendo che Warhol esercitava un eccessivo controllo su di lei con l’intento di rubarle il lavoro. Giudicata colpevole, era stata condannava a tre anni. Gli esami psichiatrici diagnosticarono che il suo gesto era stata una reazione schizofrenica di tipo paranoico con un’accentuata depressione. Venne, così, rinchiusa nell’ospedale psichiatrico femminile di Matteawan, noto per gli abusi perpetrati sulle prigioniere; trasferita nella divisione psichiatrica di Bellevue, era stata sottoposta a isterectomia.

Della risonanza mediatica della sparatoria ne aveva approfittato l’editore Maurice Girodias, dell’Olympia Press (con cui Valerie Solanas aveva già firmato un contratto per la pubblicazione di un romanzo) che, nell’agosto del 1968, aveva pubblicato il Manifesto trasformando SCUM nell’acronimo S.C.U.M., ovvero Manifesto per l’Eliminazione Fisica dei Maschi, manipolando il testo senza il consenso dell’autrice.

Negli anni successivi è entrata e uscita da varie istituzioni psichiatriche, continuando a combattere strenuamente per l’integrità e il controllo delle sue opere e il riconoscimento dei diritti d’autrice, per i quali non ha mai percepito compensi.

Tra un ricovero e un altro, ha vissuto a Washington in una comune per sole donne, poi a New York, è stata trovata senza vita e in avanzato stato di decomposizione, il 25 aprile 1988, nel Bristol Hotel di San Francisco. I suoi effetti personali, compresi gli scritti, sono stati bruciati con lei, per volere di sua madre.

Dileggiata in vita, si è teso a cancellarne il ricordo da morta, solo dopo molti decenni dalla sua dipartita, si è cominciato a rileggere la sua opera con uno sguardo diverso.

Il suo femminismo violento e radicale ha attribuito al potere maschile ogni cosa negativa sulla terra. Per prima ha attaccato Freud sull’invidia del pene, ribaltandone il punto di vista.

Ha auspicato l’eliminazione degli uomini per rimettere in senso la società e ridisegnare le città, convinta di poter risolvere i più grandi problemi esistenziali.

Nell’atto unico Up Your Ass, messo in scena per la prima volta solo dopo trentacinque anni, l’ironia è la cifra dominante di una commedia esilarante che non risparmia niente e nessuno.

Nonostante siano passati più di cinquant’anni, i testi di Valerie Solanas sono ancora perturbanti, e colpiscono, oltre che per l’assenza di qualsiasi forma di vittimismo, per la lucidità e la lungimiranza di questa donna controversa, a cui va riconosciuto il merito di mettersi in gioco fino in fondo, in una spietata coerenza tra idee e vita che ha pagato a caro prezzo.

La sua figura è talmente potente e la sua opera così divisiva che è stata a lungo cancellata in quanto facilmente strumentalizzabile come stereotipo della lesbica pazza e della femminista che odia gli uomini.

Il suo nome, ancora oggi, segna il limite di rispettabilità e ragionevolezza che il femminismo deve osservare per essere tollerato, la lettura delle sue opere è ancora un atto eversivo.

 

#unadonnalgiorno

 

 

 

 

 

 

 

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