I materiali di cui è fatta l’architettura contemporanea danno più problemi ambientali, sociali ed economici che soluzioni. Per questo è urgente ripensarli e costruire meno, ma meglio.
Anupama Kundoo, architetta e accademica indiana pluripremiata, attenta a rispettare i bisogni del pianeta e le esigenze delle popolazioni che vivono in città sovraffollate, ripensa il futuro criticando consumismo e processi d’industrializzazione
Alla base della sua progettazione c’è la sostenibilità sociale, economica ed ambientale, il riutilizzo di tradizioni locali e le implicazioni della sfera pubblica e privata.
Nata il 24 aprile 1967 a Pune, si è laureata in architettura nel 1989 all’Università di Mumbai. Nel 1996 ha vinto la borsa di studio della Vastu Shilpa Foundation per la sua tesi su Eco-comunità urbana: progettazione e analisi per la sostenibilità. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso la Technische Universität di Berlino nel 2008.
Ha svolto ricerca e insegnato in diverse istituzioni internazionali tra Londra, New York, Venezia, Barcellona, Madrid e Potsdam. È stata Davenport Visiting Professor presso la Yale School of Architecture, Strauch Visiting Critic alla Cornell University e alla Columbia University.
Insignita con numerosi premi e riconoscimenti, tra cui la menzione d’onore nell’ambito del Premio internazionale ArcVision for Women in Architecture (2013), il premio RIBA Charles Jencks (2021), il premio Auguste Perret (2021), il premio Building Sense Now del German Sustainable Building Council (2021), il Global Award for Sustainable Architecture patrocinato dall’Unesco (2022).
Autrice di numerose pubblicazioni, viene spesso invitata in conferenze e mostre internazionali.
Dal 2024 è professoressa ordinaria di Architettura e Metodi di Progettazione presso la TU Berlin, città in cui ha sede uno dei suoi studi, mentre l’altro è a Pondicherry, in India.
Ha fondato il suo primo studio ad Auroville nel 1990 che, fino al 2022, ha progettato e costruito edifici con adattamenti infrastrutturali efficienti dal punto di vista energetico e idrico.
Impegnata sul fronte dell’architettura umanitaria e sociale, la sua progettazione si basa sulla ricerca di materiali di scarto che riducano al minimo gli impatti ambientali o prodotti da artigiani locali che creano e cuociono sul posto mattoni e tegole.
Cerco di utilizzare materiale riciclato e spendere di più in manodopera perché se si spende di più nelle persone e meno nei materiali si produce meno inquinamento, tutto il budget è investito in capitale umano: questa per me è una buona strategia economica.
Uno dei suoi progetti più notevoli è la Wall House di Auroville costruita con materiali tradizionali come terra compressa, cemento e acciaio che il New York Times ha definito “un gioiello tra le macerie“. Una replica a grandezza naturale è stata realizzata a mano ed esposta alla Biennale di Architettura di Venezia.