Ciò che conta è di averle possedute, le cose smarrite, conosciute e amate…perse, o sottratte, o andate in polvere, niente e nessuno ce le potrà togliere mai…mai strapparle dall’anima, dalla mente, dal sangue. Nessun ladro, nessun prepotente…nessun terremoto
Livia De Stefani è stata la prima scrittrice in Italia a descrivere il potere mafioso, mettendo nero su bianco nomi e cognomi, svelandone i meccanismi.
Nata a Palermo il 23 giugno 1913 in un’antica famiglia di ricchi proprietari terrieri, è cresciuta negli agi di un ambiente patriarcale fatto di regole e consuetudini che scoraggiava la sua propensione letteraria.
A soli 17 anni, invitata a Roma dagli zii, aveva conosciuto e subito sposato lo scultore Renato Signorini grazie al quale era entrata in un ambiente culturale stimolante in cui sentiva di potersi esprimere.
Nonostante abbia vissuto tutta la sua vita nella capitale, si recava spesso in Sicilia per gli impegni legati alle terre che aveva ereditato.
Nel 1940 ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo Preludio.
Il suo primo romanzo e anche il più famoso, La vigna dalle uve nere, pubblicato nel 1953, è una vera e propria denuncia alla mafia e dei meccanismi. Ambientato in una cittadina siciliana, ritrae in maniera cruda e coraggiosa, quell’arcaico mondo maschile dispotico e feroce.
Su tutti i suoi protagonisti, incombe un tragico destino, anche quando ha cercato di alleggerire il tessuto narrativo affidandosi all’ironia, la tensione drammatica si risolve in un ghigno, più che in un sorriso.
Nel 1991, un mese prima della sua morte, è stato pubblicato il suo ultimo libro, La mafia alle mie spalle una condanna netta e coraggiosa a quel mondo violento, chiuso, autoritario e protettivo, con il culto del proprio potere e della sottomissione degli altri. Ha raccontato la sua esperienza personale, gli incontri con i boss, l’omertà, i codici d’onore, la campagna, la Sicilia assolata senza mare, il suo appezzamento di terra con il suo casamento borbonico, quanto era stato difficile iniziare a piantare vigneti al posto del grano e come i contadini la guardavano diffidenti quando aveva deciso di piantare alberi ornamentali che non producevano frutti, nella sua ricerca di novità e bellezza.
Il libro si chiude con la descrizione del terremoto del Belice del 14 gennaio 1968 di cui è stata testimone. Di fronte a questo mondo sgretolato aveva deciso di vendere la sua proprietà, ex feudo Virzì.
La popolazione siciliana non aveva apprezzato i suoi racconti implacabili, offesa dalle descrizioni della propria terra vista con la luce impietosa del degrado e dell’ignoranza, per il ritratto spietato di un mondo maschile, patriarcale, autoritario e feroce.
Si è spenta a Roma, il 28 Marzo del 1991.