Ho superato l’idea dell’Africa come regione geografica, piuttosto la considero una mentalità, per darle uno spazio che può essere abitato da chiunque. Devi creare la tua casa e costruire la tua dimora invece di cercare di entrare nel castello di qualcun altro.
Koyo Kouoh è stata una preziosa protagonista del mondo dell’arte. Nella sua brillante carriera ha promosso e incoraggiato storie e talenti provenienti dal continente africano.
La sua curatela è stata un’intersezione tra teoria critica, impegno sociale e sensibilità visiva.
Ha proposto un altro modo di abitare lo spazio museale, concepito come poroso, contaminato, polifonico. Da tempio ad agorà dove riparare ferite coloniali, storie spezzate, genealogie interrotte. Luogo della cura delle opere così come delle relazioni, delle memorie e delle soggettività marginalizzate.
Nel 2015, il New York Times l’ha definita una delle curatrici e manager d’arte più eminenti dell’Africa e dal 2014 al 2022, ArtReview l’ha elencata tra le 100 persone più influenti nel mondo dell’arte contemporanea.
Era stata la prima donna proveniente dall’Africa nominata a dirigere la Biennale d’Arte di Venezia 2026, ma prima di presentare titolo e tema, è scomparsa prematuramente per una malattia fulminante.
Nata il 24 dicembre 1967, a Douala, in Camerun, a tredici anni si è trasferita a Zurigo, per riunirsi con la madre. In Svizzera ha studiato amministrazione aziendale e bancaria e in Francia gestione culturale.
Iniziando con scrittura e editing, nel 1994 è stata co-curatrice di Töchter Afrikas, compendio in lingua tedesca dell’antologia Daughters of Africa.
Trasferitasi a Dakar, in Senegal, nel 2008 ha fondato la RAW Material Company, residenza artistica, spazio espositivo e di ricerca in cui ha proposto mostre ed eventi anche molto contestati, diventato il più importante centro culturale della città e un grande riferimento internazionale.
È stata consulente per Documenta 12 e 13 e per EVA International, la biennale d’arte contemporanea della Repubblica d’Irlanda.
Nel 2014 ha curato il programma educativo alla Contemporary African Art Fair di Londra e contribuito a riformare la Biennale di Dakar.
Nel 2015 ha curato Body Talk, collettiva di sei artiste africane, alla Lunds Konsthall in Svezia che ha spinto il New York Times ad affermare: “Negli ultimi due decenni la signora Kouoh è diventata una delle curatrici e direttrici d’arte più eminenti dell’Africa grazie a una combinazione di un comportamento rilassato, un occhio attento, un dono per le lingue (parla fluentemente francese, tedesco, inglese e italiano e conosce un po’ di russo) e un vivo interesse per tutti gli aspetti delle arti.”
Nel 2019 è stata nominata direttrice esecutiva dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa di Città del Capo che ha portato a diventare un’importante istituzione mondiale.
Per il suo importante lavoro, nel 2020 ha ricevuto il Gran Premio Svizzero per l’Arte/Prix Meret Oppenheim.
Nel 2021 è stata invitata dal presidente francese Emmanuel Macron a una conferenza sulla restituzione dei manufatti africani.
È morta improvvisamente a 57 anni il 10 maggio 2025, a Basilea, dieci giorni prima di presentare il suo programma per la Biennale d’Arte di Venezia 2026, dove avrebbe portato artisti, pratiche e narrazioni globali, troppo spesso messe all’angolo dalle grandi istituzioni dell’arte occidentale.
Curatrice, teorica, attivista culturale, Koyo Kouoh è stata figura chiave nella costruzione dell’ecosistema dell’arte africana contemporanea, mirando a decostruire le impalcature dell’arte occidentale.
Ha rifiutato la neutralità dell’arte, rivendicando l’opera come specchio, lente e al tempo stesso ferita aperta del corpo sociale.
Ha portato in primo piano il concetto di restituzione come postura politica e dispositivo teorico. Incarnando in sé l’attrito creativo tra periferia e centro, tra diaspora e radicamento, piuttosto che cercare di colmare la distanza, l’ha usata come leva.
La sua scomparsa è stata una enorme perdita umana e artistica. Ma il suo impegno culturale e politico ha segnato un punto di non ritorno. Ha lasciato al mondo dell’arte l’urgenza di riscrivere le regole, minando le fondamenta della gerarchia culturale. Senza soluzioni facili ma con tante domande scomode.
La curatela è diventata con lei una forma di posizionamento etico, un’idea radicale di giustizia estetica, una forma di militanza intellettuale.
Il futuro della curatela è nell’arte del prendere posizione, anche quando è scomoda, anche quando ti costa.